Offre assistenza a coloro i quali intendano far valere i propri diritti nel processo. Il costante studio delle leggi penali sostanziali e processuali, unitamente all’esperienza maturata innanzi ai Tribunali e alle Corti, permette di fornire ai propri clienti una difesa puntuale ed attenta nei diversi ambiti del diritto penale.
Informazioni generali
Avvocato iscritto all'Albo Ordinario, svolge attività di consulenza e assistenza legale in procedimenti penali. È autore di pubblicazioni su diverse riviste giuridiche ed è Dottorando di Ricerca in Diritto Processuale Penale presso l’Università “LUM – G. Degennaro”. Avendo, sin dall'inizio della pratica forense, approfondito la conoscenza del diritto penale e del diritto processuale penale, opera in tutti i settori del diritto penale, offrendo assistenza nei procedimenti riguardanti i reati contro lo Stato, la Pubblica Amministrazione e i Privati. Si occupa, inoltre, di misure di prevenzione e violazioni del T.U. sugli stupefacenti.
Esperienza
Svolge attività di consulenza e di assistenza legale in procedimenti penali riguardanti reati contro la persona e la famiglia. Ha maturato una solida esperienza nell'ambito di processi inerenti i seguenti delitti: violazione degli obblighi di assistenza familiare, abuso di mezzi di correzione o di disciplina, maltrattamenti contro familiari e conviventi, lesioni personali (anche colpose e stradali), rissa, omicidio colposo, omicidio stradale, omissione di soccorso e violenza privata.
Sin dalla delicata fase delle indagini preliminari, offre assistenza legale in procedimenti penali riguardanti il delitto di atti persecutori (612 bis c.p.), introdotto dall'art. 7, D.L. n. 11/2009. L'approfondimento costante della tematica, nelle sue diverse forme e declinazioni (stalking relazionale, condominiale, lavorativo, ecc.), permette di aiutare colori i quali intendano far valere i propri diritti nel processo. Si occupa, inoltre, di procedimenti aventi ad oggetto molestie (612 c.p.). Ha curato la difesa in numerosi processi riguardanti casi di diffamazione (595 c.p.), in particolare mediante l'uso di internet.
Altre categorie
Truffe, Omicidio, Discriminazione, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Cassazione, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni e sostituzioni.
Credenziali
Imprenditore assolto per frode in commercio
Sentenza emessa dal Tribunale di Lecce - 22/10/2024Si pubblica estratto della sentenza di assoluzione nei confronti di un imprenditore accusato di frode in commercio
Convegno - Democrazia, Politica, Società Civile
Università Lum - 11/2024Partecipazione al convengo “Democrazia, Politica, Società Civile”, tenutosi presso l’Università LUM il 28 novembre 2024
La Cassazione torna sui requisiti della partecipazione rilevante ex art. 74, D.P.R. n. 309/1990
Pubblicato su IUSTLABCon una recente sentenza (S ez. III, 07/11/2024, n. 43142) , la Corte di legittimità si è pronunciata sul concetto di partecipazione rilevante ex art. 74, D.P.R. n. 309/1990, ribadendo che la condotta partecipativa ad un'associazione il cui fine è il traffico illecito di sostanze stupefacenti comporta "la costante disponibilità a fornire le sostanze coinvolte nel traffico stesso, stabilendo un rapporto duraturo tra chi fornisce la droga e gli spacciatori che la distribuiscono al dettaglio, a condizione che siano provate la consapevolezza e la volontà di far parte dell'associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire il raggiungimento dell'obiettivo comune di trarre profitto dal commercio di droga".
La discriminazione razziale quale aggravante del delitto di diffamazione
Pubblicato su IUSTLABLa Quinta Sezione Penale della Cassazione, con sentenza n. 7859 del 2018 ha stabilito che: “ la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l'azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell'accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell'agente, come nel caso in cui nelle espressioni denigratorie sia contenuta la parola negro.”
Truffe online: qual è il giudice territorialmente competente?
Pubblicato su IUSTLABTruffe online e competenza territoriale: il criterio del luogo dell’ingiusto profitto La determinazione della competenza territoriale nei reati di truffa online è un tema particolarmente rilevante nella pratica giudiziaria. La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: la competenza si radica presso il luogo in cui il soggetto agente consegue l’ingiusto profitto. Tuttavia, l’applicazione concreta di tale criterio dipende dalla possibilità di individuare con certezza il contesto territoriale in cui il profitto è stato effettivamente realizzato. Il criterio dell’accreditamento del profitto Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la distinzione principale riguarda il mezzo attraverso cui il truffatore riceve il denaro: 1. Carte dotate di IBAN (es. conti correnti, carte prepagate collegate a istituti di credito identificabili) • In questi casi, l’istituto bancario o di credito fornisce un riferimento territoriale certo. Poiché l’IBAN è associato a una specifica banca operante in un determinato luogo, è possibile individuare il punto esatto in cui il truffatore ha ottenuto il profitto. Di conseguenza, la competenza territoriale sarà determinata dal luogo in cui si trova l’istituto di credito presso cui è accreditata la somma. 2. Carte non dotate di IBAN (es. carte prepagate anonime, come Postepay standard) • Quando il profitto viene accreditato su strumenti non riconducibili a un istituto bancario identificabile sul territorio, diventa impossibile individuare il luogo del conseguimento dell’ingiusto profitto. In questi casi, la Cassazione ha chiarito che la competenza territoriale si radica nel luogo in cui la vittima ha effettuato il versamento del denaro, ossia il punto in cui si è verificato l’effettivo depauperamento patrimoniale. Implicazioni pratiche Questa distinzione ha notevoli conseguenze dal punto di vista processuale. Nei casi in cui sia possibile individuare il luogo dell’accredito del profitto, le indagini possono essere più efficaci, consentendo agli inquirenti di risalire più facilmente all’identità del truffatore. Al contrario, nei casi in cui il profitto sia accreditato su strumenti anonimi, la competenza viene determinata dal luogo della vittima, il che può comportare una distribuzione frammentata dei procedimenti su più uffici giudiziari. Conclusioni La competenza territoriale nelle truffe online segue il principio del luogo dell’ingiusto profitto, ma la sua applicazione dipende dalla tracciabilità del denaro. La Cassazione, distinguendo tra carte con IBAN e strumenti anonimi, ha fornito un criterio chiaro per orientare l’individuazione del giudice competente, bilanciando l’esigenza di certezza con la necessità di garantire l’efficacia delle indagini.
Il rispetto dei diritti umani come limite della libertà di espressione
Pubblicato su IUSTLABSi segnala la sentenza della Cassazione, Sez. III, 16 agosto 2023 (ud. 22 maggio 2023), n. 24686. Decisione esemplare in materia di rispetto dei diritti umani , atteso l’ampio richiamo a fonti normative e precedenti giurisprudenziali interni ed europei. La Corte ha, infatti, ribadito i valori fondanti della nostra Costituzione, tra cui il rispetto della pari dignità degli esseri umani, che rappresenta il fondamento della società democratica. Di qui i limiti alla libertà di espressione nella critica politica , che se realizzata con modalità intolleranti , si traduce in un comportamento discriminatorio e lesivo dei diritti della persona.
Alle Sezioni Unite una questione in tema di misure di prevenzione patrimoniali e diritti dei terzi (art. 52 d. lgs. 159/2011)
Pubblicato su IUSTLABCon ordinanza del 20 dicembre 2024 (ud. 3 dicembre 2024), n. 47294, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ( Pres. Pezzullo, Rel. Giordano) ha rimesso al Supremo Consesso un importante questione in tema di misure di prevenzione. Il 29 maggio 2025, le Sezioni Unite dovranno, infatti, stabilire " se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’art. 52, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – in forza del quale la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi derivanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro – debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo del credito del terzo derivante da fatto illecito commesso dal proposto , il relativo diritto debba essere sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare , anche se accertato e liquidato in un momento successivo , ovvero nel senso che debba essere anteriore al sequestro anche l’accertamento giudiziale del credito". Si rimanda all'ordinanza per un approfondimento delle ragioni in diritto.
La pena prevista per il capo promotore di un'associazione finalizzata al narcotraffico al vaglio della Corte Costituzionale
Pubblicato su IUSTLABCon ordinanza del 29 gennaio 2025, la Corte d'Appello di Lecce ha rimesso alla Consulta un importante questione di legittimità costituzionale in materia di violazione della disciplina sugli stupefacenti. Il Giudice delle leggi sarà chiamato ad accertare la compatibilità col dettato costituzionale dell'art. 74, co. 4, D.P.R. n. 309/1990, con specifico riferimento alla pena prevista per il capo promotore di un'associazione finalizzata al narcotraffico (avente disponibilità di armi e con un numero di associati superiore a 10), che prevede una penna fissa di anni 24 di reclusione. Si rimanda alla lettura dell'ordinanza per l'approfondimento delle ragioni che hanno indotto il Collegio leccese a sospendere il processo.
La competenza per territorio nel reato di atti persecutori
Pubblicato su IUSTLABL’art. 612 bis c.p.p. prevede la pena di reclusione da un anno a sei anni e sei mesi nei confronti di chiunque, “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. L’art. 8 c.p.p. stabilisce, tuttavia, che per determinare la competenza per territorio (in termini “semplicistici” la città in cui si incardinerà l’eventuale procedimento per stalking) si deve aver riguardo al “luogo in cui il reato è stato consumato”. La questione non è di poco conto, giacché accade sovente che pur in presenza di condotte di molestie e minacce realizzate in un determinato luogo, il fatto di reato integrante il delitto di atti persecutori può manifestarsi in un momento e in un territorio differente (ovvero non coincidente con quello in cui il soggetto agente ha posto in essere le reiterate azioni di molestie e minacce). In tali casi, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, “la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica”. Secondo, infatti, Cass. Pen., Sez. V, 09/10/2019, n. 3042, la consumazione del reato di atti persecutori prescinde dall’accertamento del momento iniziale o finale delle singole condotte perpetrate dal soggetto agente, «assumendo, invece, a tal fine significato il comportamento complessivamente tenuto dal responsabile, sicché la competenza per territorio deve essere determinata in relazione al luogo in cui il comportamento stesso diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio ed in cui, quindi, il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica»
Stalking condominiale: un triste fenomeno in aumento
Pubblicato su IUSTLABNegli ultimi anni, la giurisprudenza è stata costretta a confrontarsi con un nuovo fenomeno in ascesa noto come stalking condominiale. Ogni giorno, del resto, l’Autorità Giudiziara viene adita per casi di molestie e minacce verificatisi in ambito “condominiale”. Ma quand’è che le beghe di vicinato possono trasformarsi in veri e propri atti persecutori e, dunque, integrare astrattamente la fattispecie prevista dall’art. 612 bis c.p.? Sul quesito è intervenuta la Cassazione con sentenza n. 28340 dell’11/09/2019. La Quinta Sezione della Suprema Corte ha chiarito, innanzitutto, che il reato di stalking è configurabile anche in condominio. I Giudici di Piazza Cavour hanno, infatti, confermato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di alcuni condomini che avevano pesantemente minacciato i vicini all’interno degli spazi comuni del condominio, in modo da cagionare un fondato timore per l’incolumità loro e dei loro familiari e da fare loro cambiare le abitudini di vita. In particolare, detti condomini si erano resi protagonisti di atti incendiari e danneggiamenti degli immobili dei vicini, tali da determinare nel condominio un grave clima di intimidazione.
Lesioni personali: il perimetro applicativo dell’art. 585, co. 2, c.p.
Pubblicato su IUSTLABCon sentenza del 26 settembre 2023, n. 45868, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata, nuovamente, sul concetto di arma impropria ai fini dell’aggravante preveduta dal primo capoverso dell’art. 585 c.p. I Giudici di Piazza Cavour, sul solco di un orientamento pressoché consolidato, hanno stabilito che il porto di un oggetto non destinato all’offesa cessa di essere giustificato nel momento in cui, per le circostanze di tempo, di luogo o per il concreto uso che dello strumento viene fatto, esso perde la propria connotazione di oggetto di uso comune e diventa invece un’arma impropria. Di conseguenza, un qualsiasi oggetto comune, che in una certa situazione possa essere utilizzato per l’offesa alla persona, è astrattamente qualificabile come arma ai fini della configurabilità dell’ aggravante di cui all’art. 585, co. 2, c.p. Gli esempi, in tal senso, destano non poche perplessità in relazione all’estensione del perimetro applicativo della norma. La Suprema Corte, infatti, ha inteso far rientrare nel concetto di arma impropria persino uno smartphone, adoperato allo scopo di percuotere la vittima del resto di lesioni personali (Cass. Pen., Sez. V, 30/11/2022, n. 7385).
La costituzione di parte civile dopo la Riforma Cartabia
Pubblicato su IUSTLABCon sentenza n.38481 del 21 settembre 2023 (udienza del 25 maggio 2023), le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate sui requisiti per la costituzione di parte civile dopo la Riforma Cartabia. In particolare, hanno osservato che: « l a modifica dell’art. 78 comma 1 lett. d) c.p.p. , ad opera della cd. riforma Cartabia, non può restare indifferente ai fini della spiegazione del significato del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 al quale offre, invece, un necessario completamento , ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli effetti della risoluzione del contrasto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire ». Per questa ragione, ha spiegato il Supremo Consesso, « se nella vigenza del precedente tenore della norma , secondo la costante giurisprudenza di legittimità, era del tutto sufficiente , ad integrare la causa petendi cui si riferisce l’art. 78, comma 1, lett. d) cit., il mero richiamo al capo d’imputazione descrittivo del fatto allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza, ciò non può più bastare a fronte della nuova disciplina ». Di conseguenza, i Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che per l'atto di costituzione di parte civile post d.lgs. n. 150/2022 « sarà necessaria una precisa determinazione della causa petendi similmente alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile , come già affermato da una sola iniziale pronuncia di questa Corte, poi rimasta superata dalle pronunce appena ricordate, e che ora, per effetto del mutato quadro, riprende evidentemente vigore ; cosicché, ai fini dell’ammissibilità della costituzione , non sarà più sufficiente fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa »
Il "problema" dolo specifico nel delitto di furto
Pubblicato su IUSTLABL’art. 624 c.p. prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da euro 154 a 516 nei confronti di « chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri ». In relazione all’elemento soggettivo del delitto di furto, in giurisprudenza si sono delineati due orientamenti contrapposti. Un primo, risalente agli anni ottanta dello scorso secolo (Sez. 2, n. 9411 del 06/03/1978, Sessa, Rv. 139694; Sez. 2, n. 9983 del 26/04/1983, Lo Nardo, RV. 161352; Sez. 2, n. 4471 del 12/02/1985, Bazzani, Rv. 169109), secondo cui la nozione di “profitto”, perseguita dal soggetto attivo del reato, deve essere intesa in senso ampio. Esso, infatti, non andrebbe identificato con un vantaggio di natura strettamente economica, potendo consistere anche in un’utilità non patrimoniale, realizzata mediante coscienza e volontà di sottrarre la cosa mobile altrui. In base a tale orientamento, per la configurabilità dell’art. 624 c.p. è sufficiente che l’agente ponga in essere una condotta orientata al perseguimento di un profitto, essendo irrilevante la concretizzazione, sul piano oggettivo, di un vantaggio economicamente apprezzabile. Il rischio, puntualmente rilevato da Sez. 4, n. 13842 del 26/11/2019, Rv. 278865, è che la limitazione della punibilità delle condotte di volontaria sottrazione ed impossessamento di cose mobili altrui alle sole ipotesi di sottrazione dettata da finalità economiche priverebbe di tutela penale il possesso delle cose mobili in caso di lesioni dettate da motivazioni non economiche . In tal senso, Sez. 5, n. 4304/2021 del 14/12/2020, dep. 03/02/2021, in un caso in cui era stato accertato che l’imputato avesse sottratto una macchina fotografica al fine di impedire lo scatto di fotografie , ha ribadito che nella nozione di profitto può ricomprendersi anche lo scopo di realizzare un’utilità non suscettibile di apprezzamento economico, osservando che « il fine di profitto – nel quale si concreta il dolo specifico del reato – non si identifica necessariamente con l’animus lucrandi , e quindi non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, giacché deve ritenersi incluso nella previsione della norma il perseguimento di qualsiasi soddisfazione o vantaggio che al soggetto possa derivare dalla cosa sottratta, che può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione, vendetta o rappresaglia ». Secondo, invece, un orientamento più recente, la nozione di profitto di cui alla fattispecie incriminatrice in esame deve essere interpretata in senso restrittivo. Una “dilatazione” del concetto penalmente rilevante di profitto comporterebbe, del resto, l’inosservanza del dato letterale e sistematico dell’inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che rappresenta il bene giuridico tutelato dalla norma. Sul tema, Sez. 5, n. 30073 del 23/10/2018, Rv. 273561, in una vicenda relativa alla sottrazione di una borsa per finalità di reazione/dispetto nei confronti della vittima, ha precisato che « un’eccessiva e espansione della nozione di profitto, estesa fino a raggiungere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, arrivando ad identificare lo scopo di lucro previsto nella fattispecie astratta con la generica volontà di tenere per sé la cosa,può comportare l’annullamento della previsione normativa, che implica la necessità del dolo specifico ». Assumendo, infatti, il “fine del profitto” la funzione di delimitare i fatti punibili a titolo di furto, l’utilità realizzata dall’agente deve essere necessariamente collocata in una dimensione economica-patrimoniale; non solo per delimitare il perimetro applicativo dell’art. 624 c.p. ma anche per distinguere il furto da altre figure di reato non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte del soggetto attivo. Alle medesime conclusioni è giunta Sez. 5, n. 25821 del 05/04/2019, Rv. 276516, che ha ritenuto insussistente l’elemento soggettivo del reato di furto in un caso nel quale un rappresentante sindacale aveva asportato due fusibili dalla scatola di derivazione elettrica di una saracinesca del magazzino dell’azienda dove lavorava per consentire ai colleghi di uscire fuori per porre in essere atti di protesta contro il datore di lavoro. Anche la giurisprudenza più recente, d’altro canto, si è interrogata sulla nozione penalmente rilevante di profitto ed ha chiarito che esso deve identificarsi con la finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale , indipendentemente dalla capacità del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale. Di conseguenza, l’elemento del profitto può dirsi integrato ove sia accertato che l’autore del fatto materiale abbia agito per ottenere un vantaggio patrimoniale quale fine “ diretto e immediato ” dell’azione tipica, sia pure con l’intento di ottenere il soddisfacimento di un bisogno ulteriore (anche solo spirituale). Rilevata, quindi, l’esistenza dei contrapposti indirizzi interpretativi, con ordinanza n. 693/2023 (ud. 18 novembre 2022), la Sez. V della S.C. di Cassazione ha investito il massimo consesso nomofilattico del seguente quesito: se il fine di profitto, in cui si concerta il dolo specifico del delitto di furto, debba essere inteso solo come finalità dell’agente di incrementare la sfera patrimoniale, sia pure in funzione del perseguimento di ulteriori fini conseguibili, ovvero se possa anche consistere nella volontà di trarre un’utilità non patrimoniale dal bene sottratto.
Riforma Cartabia: le principali novità in tema di patteggiamento
Pubblicato su IUSTLABIl D.Lgs. n. 10.10.2022, n. 150, conv. con modif. in L. 30.12.2022, n. 199, ha apportato alcune modifiche all’istituto disciplinato dagli artt. 444 e ss. del c.p.p. Il legislatore della Riforma, nel tentativo di incentivare l’accesso ai procedimenti alternativi, ha “ritoccato” il patteggiamento, lasciando tuttavia inalterati i requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso al rito. Le principali novità possono essere così riassunte. Art. 444 c.p.p. – È stata introdotta la possibilità per il pubblico ministero e l’imputato di accordarsi sulle pene accessorie. Le parti potranno domandare al giudice di applicare le pene accessorie per una durata determinata, oppure di non applicarle. L’accordo tra le parti è stato esteso anche alle ipotesi di confisca facoltativa. L’imputato e il pubblico ministero potranno chiedere al giudice persino di escludere l’applicazione della misura di sicurezza , tanto nell’ipotesi di patteggiamento minus , che in quella di patteggiamento maius . Art. 445 c.p.p. – È stata estesa l’inefficacia della sentenza di patteggiamento nei giudizi extrapenali . Essa non potrà essere utilizzata « ai fini di prova » nei giudizi civili, disciplinari, tributari e amministrativi (compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile). Nel caso in cui non siano applicate pene accessorie, la sentenza di patteggiamento potrà essere equiparata ad una sentenza di condanna solo nell’ipotesi in cui ciò sia espressamente stabilito da una disposizione di legge penale. Art. 446 c.p.p. – A seguito dell’instaurazione del giudizio immediato , per l’imputato che si veda rigettata la richiesta di abbreviato condizionato resterà, ora, impregiudicata la possibilità di accedere al patteggiamento . Art. 447 c.p.p. – Prima dell’udienza fissata dal giudice per valutare se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento proposta nella fase delle indagini preliminari, l’indagato dovrà essere informato della possibilità, stabilita dal nuovo art. 129- bis c.p.p., di rivolgersi al Centro per la giustizia riparativa di riferimento per l’avvio di un programma di giustizia riparativa. Art. 448 c.p.p. – Nelle ipotesi di patteggiamento di pena sostitutiva ex art. 53, L 24.11.1981 n. 689, il giudice potrà sospendere il processo e fissare una apposita udienza (non oltre sessanta giorni) per valutare se ricorrono i presupposti per emettere il provvedimento; nel frattempo potrà acquisire ogni informazioni utile ai fini della decisione dall’ufficio di esecuzione penale esterna territorialmente competente e dalla polizia giudiziaria.
Inchiesta “Il Molo”: sette assoluzioni
Due lievi condanne e sette assoluzioni. Si sgonfia la vicenda giudiziaria scaturita dal chiosco il bar “Il Molo”, di San CataldoDue lievi condanne e sette assoluzioni. Si sgonfia la vicenda giudiziaria scaturita dal chiosco il bar “Il Molo”, di San Cataldo. I giudici in composizione collegiale (Presidente Pietro Baffa) hanno inflitto 1 anno e 6 mesi di reclusione per l’ex assessore Luca Pasqualini e per Rossana Capoccia, legale rappresentante della società e titolare del chiosco con pena sospesa. La condanna ha riguardato esclusivamente gli abusi edilizi, l’occupazione abusiva di demanio marittimo e una tentata truffa ai danni della Regione Puglia. “Prendiamo atto della sentenza – commenta l’avvocato Giuseppe Corleto, difensore di Pasqualini e Capoccia – che ridimensiona assai sensibilmente l’accusa. Assoluzione piena per i gravi reati di corruzione, abuso di ufficio e falso. Il pm oggi ha chiesto la assoluzione per il solo reato di corruzione e la condanna per tutti gli altri reati a complessivi 5 anni di reclusione. Residuano dunque la condanna per un reato edilizio, che chiariremo in appello essere insussistente e che comunque si prescrive tra 5 mesi, e per una tentata truffa in danno della Regione Puglia che riteniamo incomprensibile alla luce dei documenti presenti agli atti e che pure siamo certi si risolverà favorevolmente in secondo grado”. Le assoluzioni hanno riguardato Vincenzo Gigli, 73 anni, Presidente protempore della Commissione Paesaggio del Comune di Lecce; Maria Antonietta Greco, 66 anni, di Lecce, in qualità di Dirigente Settore Urbanistico del Comune di Lecce; Giancarlo Pantaleo, 67 anni, di Monteroni, Responsabile dell’ufficio demanio marittimo del Comune di Lecce; Daniele Buscicchio, 65 anni, nella sua qualità di Responsabile dell’Ufficio Paesaggio che ha rilasciato l’Autorizzazione Paesaggistica del 18 gennaio 2017; Luigi Maniglio, 72anni, di Lecce, in veste di Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Lecce; Alfredo Barone, 67 anni, di Lecce, titolare di fatto e gestore della società Idea Line srl; Caterina Delle Canne, 63 anni, di Lecce, legale rappresentante della società Ideal Line srl fino al 2 gennaio 2014; Gianfranco Cozza, 46 anni, di Surbo, tecnico progettista della società “L.F. srls” relativamente al progetto per il rilascio del permesso di costruire per l’installazione di un chiosco prefabbricato da adibire a punto ristoro e vendita, ha avanzato richiesta di messa alla prova. L’ACCUSA DI DETURPAMENTO DI BELLEZZE NATURALI Tale accusa veniva contestata a Luca Pasqualini, Rossana Capoccia, Gianfranco Cozza, Maria Antonietta Greco, Giancarlo Pantaleo, Vincenzo Gigli e Daniele Buscicchio. Sotto la lente d’ingrandimento erano finiti gli interventi edilizi, tra il 2014 e il 2017, compiuti sulla superficie del chiosco realizzato su una pedana ricadente su un’area demaniale, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e indicata con elevata criticità di erosione costiera. In più, in totale assenza del permesso di costruire, del nulla osta delle Autorità preposte al vincolo e dei titoli demaniali rilasciati del Capo del Compartimento. ABUSO D’UFFICIO E FALSO IDEOLOGICO Tali reati venivano mossi a Luigi Maniglio, Maria Antonietta Greco, Giancarlo Pantaleo, Daniele Buscicchio, Vincenzo Gigli, Rossana Capoccia, Luca Pasqualini, Alfredo Barone e Caterina Delle Canne. In particolare i pubblici ufficiali Maniglio, Greco, Pantaleo, Buscicchio e Gigli avrebbero procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale ad Alfredo Barone e a Caterina Delle Donne nonché a Luca Pasqualini e a Rossana Capoccia. Con una sequenza di atti e provvedimenti amministrativi sarebbe stato dato il pass partout alla Idea Line di “monetizzare” la concessione demaniale ed i relativi titoli edilizi illegittimamente rilasciati e parte integrante della cessione di ramo di azienda in favore della L.F. srls di Rossana Capoccia. Con questo intrico sarebbe stata avviata una illecita operazione di “traslazione” di concessione demaniale con il fine, ipotizza la Procura, di aggirare il divieto di rilascio di nuove concessioni demaniali. Condizioni essenziali per la costruzione e la gestione del chiosco con la realizzazione di opere e strutture del tutto nuove realizzate in totale violazione degli strumenti urbanistici vigenti in zona e benché fosse stato rilasciato il preavviso di diniego con cui la Soprintendenza di Lecce aveva espresso il proprio niet alla realizzazione del progetto. CORRUZIONE PER UN ATTO CONTRARIO AI PROPRI DOVERI Di questa accusa rispondevano Pasquale Gigli e Luca Pasqualini (già coinvolto nelle inchieste sugli alloggi popolari e i pass). Dopo una serie di pressioni su due pubblici ufficiali (estranei all’inchiesta) per ottenere il rilascio di “sub-ingresso” del Registro delle Concessioni il 2 febbraio 2016 e l’adozione del parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione Paesaggistica del 18 gennaio 2017 Gigli avrebbe ottenuto da Pasqualini l’affidamento alla figlia dell’incarico di consulente fiscale e depositario della L.F. dal 4 dicembre del 2015 (data di costituzione della società). Grazie a tale incarico lo stesso Gigli avrebbe affiancato Pasqualini nella gestione delle vicende societarie e nelle operazioni di cessione del ramo di azienda da parte della Idea srl in favore della L.F. srl. TENTATA TRUFFA AGGRAVATA Era l’ultimo capo d’imputazione contenuto nelle 11 pagine dell’avviso di conclusione e veniva contestato a Luca Pasqualini e Rossana Capoccia. I due imputati avrebbero falsamente attestato nella domanda di accesso ad un finanziamento per il chiosco il requisito, essenziale ai fini della concessione, del mantenimento del possesso della struttura, per un periodo almeno quinquennale successivo all’investimento, presentata il 27 dicembre del 2017 tramite la Cofidi. Circostanza, secondo gli inquirenti, del tutto contraria al vero tenuto conto che i titoli autorizzativi del chiosco erano tutti provvisori. Pasqualini a Capoccia avrebbero allegato a supporto il permesso di costruire e la concessione demaniale suppletiva per indurre l’enete regionale a erogare il finaziamento di 85mila euro che l’istituto bancario non avrebbe accolto. La struttura è stata rimossa nel novembre del 2022, una volta che si è definito il contenzioso in sede amministrativa con la pronuncia del Consiglio di Stato. Trenta giorni per il deposito delle motivazioni. Il collegio difensivo era completato dagli avvocati Francesco Galluccio Mezio, Angelo Valente, Michele Laforgia, Vittorio Vernaleone, Luigi e Roberto Rella, Antonio Quinto e Giulio Errico.
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Lo studio
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Lecce (LE)