Avvocato Anastasia Fiorio a San Bonifacio

Anastasia Fiorio

Avvocato civilista

Informazioni generali

Particolare esperienza in diritto del lavoro, diritto agrario, procedimenti d'urgenza e recuperi crediti. Disponibile anche per sostituzione udienza, depositi e ritiri in Cancelleria e Unep, oltre a conservatoria per trascrizione DI o pignoramenti immobiliari.

Esperienza


Diritto civile

Ho seguito cause civile di ogni tipo, dalle ATP a cause di merito con escussioni testimoniali molto lunghe e difficoltose. Ho spesso discusso in sede agraria (sia in sede stragiudiziale, anche in AVEPA o presso le associazioni di categoria, che in sede giudiziale, presso il Tribunale di Verona), Ispettorato del lavoro, conciliazioni sindacali e mediazioni in genere.


Fallimento e proc. concorsuali

Oltre al deposito di istanze e gestione del proseguo della causa, seguo anche istanze di fallimento per accesso fondo di garanzia INSP al fine di recuperare le ultime tre mensilità del rapporto lavorativo e TFR. Seguo anche il recupero credito stragiudiziale e giudiziale con esecuzioni mobiliari, pignoramento presso terzi o esecuzioni immobiliari con conseguente trascrizione del titolo in conservatoria di Verona.


Recupero crediti

Ho effettuato attività di recupero crediti dal 2005, anche collaborando con altri professionisti o società. Specializzata nel recupero credito mobiliare, anche con istanza 492 bis cpc, pignoramento immobiliari con trascrizioni presso la conservatori.


Altre categorie

Pignoramento, Diritto del lavoro, Domiciliazioni e sostituzioni, Diritto agrario, Negoziazione assistita, Eredità e successioni, Diritto commerciale e societario, Diritto assicurativo, Contratti, Diritto tributario, Licenziamento, Diritto sindacale, Diritto amministrativo, Locazioni, Sfratto, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore, Risarcimento danni, Tutela degli anziani, Privacy e GDPR.



Credenziali

Pubblicazione legale

Trattamento dei dati personali

Pubblicato su IUSTLAB

Trattamento dei dati personali Se ci chiediamo: è risarcibile non solo a favore delle persone fisiche, ma anche a vantaggio delle persone giuridiche o altri soggetti collettivi? La risposta è positiva e trova riscontro ne ll’orientamento della Corte di Cassazione in tale materia ( Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con sentenza n. 12929 del 4 giugno 2007 ). Ma se chiediamo il risarcimento del danno per illecito trattamento dei dati personali nei confronti della persone giuridiche, quale potrebbe essere la risposta? Altra fattispecie configurabile astrattamente anche nei confronti di persone giuridiche, ma di limitato riscontro pratico è quella del danno per illecito trattamento dei dati personali. In vero, a tale fattispecie non risulta ad oggi applicabile la nuova disciplina sulla privacy, introdotta dal GDPR 2016/679 e recepita integralmente nel nostro ordinamento giuridico dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101. Più precisamente, in passato, il garante per la protezione dei dati personali con provvedimento n. 262/2012, aveva chiarito che le disposizioni del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, contenente il «Codice in materia di protezione dei dati personali», nonostante le modifiche apportate con D.L. n. 201/2011, trovavano applicazione anche con riferimento alle persone giuridiche. La giurisprudenza sul punto si era, tuttavia, mostrata rigorosa e ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale causato per violazione del diritto alla riservatezza solo qualora tale diritto venga inciso in maniera rilevante, cagionando un pregiudizio serio, che peraltro va debitamente allegato e, seppur per presunzioni, provato. Come, tuttavia, sopra accennato, il d. lgs. n. 196/2003 è stato di recente sostituito a seguito dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 101/2018, che ha recepito la nuova normativa in materia di privacy introdotta dal regolamento europeo n. 679 del 2016. Il regolamento europeo, in particolare, nel dettare le norme relative alla protezione dei dati personali, fa espresso riferimento unicamente alle «…persone fisiche…» (art. 1); e ciò, sia nella nozione di "interessato al trattamento dei dati", indentificato per l'appunto, nella persona fisica cui si riferiscono i dati personali oggetto di trattamento, sia in quella di "dato personale", definito come «…qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile…». Con la conseguenza, quindi, che, dalla tutela dei dati personali, sono escluse le persone giuridiche, nonché gli enti e le associazioni. Né è stato diversamente stabilito dal d. lgs. n. 101/2018, che si è limitato unicamente ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del GDPR, senza prevedere null'altro. In tal senso, peraltro, si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale «…Il G.D.P.R. - "General Data Protection Regulation" - il quale è entrato in vigore il 24 maggio 2016 ed è diventato direttamente applicabile e vincolante in tutti gli Stati membri a partire dal 25 maggio 2018 - non disciplina in alcun modo il trattamento dei dati che riguardano la persona giuridica (salvo con poche eccezioni), atteso che dalla definizione di "dato personale" e di "interessato" di cui agli artt. 1 e 4 rimane escluso qualsiasi riferimento a persone giuridiche, enti o associazioni…» (T.A.R. Sicilia, 1 ottobre 2018, n. 2020). Di regola, pertanto, nel caso in cui una persona giuridica subisca danni a seguito di un illecito trattamento di dati, non possono applicarsi le disposizioni normative contenute nel GDPR. Tuttavia, sembrano potersi ravvisare talune ipotesi eccezionali, in presenza delle quali sembra potersi riconoscere alle persone giuridiche la possibilità di applicare le disposizioni del regolamento europeo. Si fa, in particolare, riferimento al caso in cui il nome della persona giuridica si identifichi con il nome di una persona fisica ovvero quest'ultimo è nel primo compreso. ovvero al caso in cui i dati – oggetto del trattamento illecito – riguardino una persona fisica. Si comprende, quindi, perché la casistica sul punto sia estremamente ridotta, dovendosi ritenere, le persone giuridiche, oggi escluse dalla normativa sulla privacy. Onere della prova e criteri di quantificazione Com'è noto, la prova del danno non patrimoniale è in tutti i settori particolarmente difficile, stante l'immaterialità del bene oggetto di risarcimento. Ancor più arduo, quindi, appare tale onere rispetto alle persone giuridiche e agli enti in generale, e ciò a causa della loro natura di entità sovraindividuali. La giurisprudenza ha ormai pressoché abbandonato il paradigma del danno in re ipsa, puntualizzando sempre più spesso la necessità di allegazione di circostanze specifiche idonee a supportare la richiesta risarcitoria, anche se, in questo ambito, è inevitabile ammettere il ricorso allo strumento delle presunzioni e alle massime di esperienza (Cassazione civile, sez. I, 10 maggio 2017, n. 11446). Alla questione dell'onere probatorio si lega quella relativa all'individuazione dei criteri per la quantificazione del danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche. Sul punto, dall'analisi dei precedenti giurisprudenziali emerge un solo dato certo, ovvero il ricorso alla liquidazione in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c. Concludendo, le persone giuridiche (società, enti collettivi, associazioni riconosciute, fondazioni, enti pubblici, etc..) possono subire danni a seguito di trattamenti illeciti dei propri dati personali e hanno diritto al risarcimento, se dimostrano il danno subito e il nesso causale con la violazione. Tuttavia, a fronte di una molteplicità di fattispecie, non si possono individuare parametri univoci. In tale contesto, limitando la trattazione a una delle fattispecie più diffuse, vale a dire la lesione dell'immagine a seguito di condotte diffamatorie, si possono segnalare i seguenti indici presi in considerazione dai giudici e, precisamente: la gravità del fatto lesivo, la diffusione del mezzo utilizzato, la notorietà della persona offesa ma anche il comportamento post actum dell'autore della condotta.

Pubblicazione legale

Fattispecie di danno delle persone giuridiche. Danno all'immagine.

Pubblicato su IUSTLAB

Il danno all’immagine rappresenta una delle più rilevanti espressioni del danno non patrimoniale nelle persone giuridiche. Se in passato la giurisprudenza era incline a riconoscere tale categoria esclusivamente in capo alle persone fisiche, l’evoluzione interpretativa – alla luce di un’applicazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 della Costituzione – ha esteso la tutela anche agli enti collettivi, affermando la possibilità per questi ultimi di subire pregiudizi risarcibili alla propria identità, reputazione e considerazione sociale. Tra le fattispecie di danno non patrimoniale risarcibile in favore di persone giuridiche va riconosciuta notevole importanza alla figura del danno all'immagine, che può derivare alla società o all'ente sia da condotte penalmente rilevanti, come nel caso di atti diffamatori, sia da illeciti civili e, secondo un'interpretazione ormai pacifica, anche da inadempimenti contrattuali. Nel concetto di danno all'immagine si fa comunemente rientrare la lesione di una pluralità di diritti, per loro natura legati alla personalità umana (diritto al nome, alla reputazione, all'identità, ecc.), che, tuttavia, grazie all'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, sono stati riconosciuti anche in capo alle persone giuridiche. Ai sensi dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. Tuttavia, la lettura evolutiva operata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha ampliato tali ipotesi, includendo nel novero dei soggetti tutelati anche le persone giuridiche, ove si tratti della lesione di situazioni giuridiche soggettive equivalenti ai diritti fondamentali della persona umana . Nelle sentenze della Suprema Corte viene costantemente ribadito quanto storicamente affermato nella decisione n. 12929/2007, ovvero che: «Anche nei confronti della persona giuridica e in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica ... che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica o dell'ente; allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente che esprime la sua immagine, sia sotto il profilo dell'incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca». Anche per le persone giuridiche, dunque, vengono distinti i due profili, "personale" – laddove si faccia riferimento alla reputazione degli organi che agiscono in rappresentanza e nell'interesse della persona giuridica, e quello "commerciale" – laddove invece si faccia riferimento alla reputazione della società o ente rispetto alla sua sfera di azione. Sul tema, si registrano numerose sentenze di condanna al risarcimento del danno alla reputazione commerciale nei confronti di Istituti bancari per illegittima segnalazione di società commerciali alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia. Al riguardo la Suprema Corte ha, precisato che: «la segnalazione di una posizione in sofferenza non può scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d'insolvenza (Cass. 1° aprile 2009, n. 7958 richiamata in Cass. civ., Sez. I, 9 luglio 2014, n. 15609)». In difetto dei superiori presupposti, la Banca che ha effettuato una segnalazione "affrettata" può essere chiamata a risarcire non solo eventuali danni patrimoniali ma anche il danno non patrimoniale, consistenti nel discredito che deriva dalla segnalazione illegittima. Concludendo possiamo riassumere che i l danno all’immagine costituisce oggi una categoria autonoma di danno non patrimoniale risarcibile anche in capo alle persone giuridiche, ove venga in rilievo la lesione di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. La giurisprudenza ha chiaramente superato l’originario limite del danno morale soggettivo, riconoscendo che la reputazione e l’identità di un ente sono beni immateriali suscettibili di tutela giuridica, anche attraverso il rimedio risarcitorio. In tale prospettiva, assume rilievo centrale non tanto la natura “immateriale” del pregiudizio, quanto la sua incidenza negativa sulla funzione sociale, economica o istituzionale dell’ente leso , con l’effetto di consolidare un’interpretazione ampia e moderna della responsabilità civile in linea con i valori costituzionali.

Pubblicazione legale

 Nullità del licenziamento nel periodo di prova.

Pubblicato su IUSTLAB

Nelle ipotesi dei CCNL nazionali in cui i lavoratori e le lavoratrici in periodo di prova hanno diritto alle medesime condizioni di trattamento garantito ai colleghi che hanno già superato la prova, potranno ricorrente per la nullità del licenziamo intimato. Questo è un principio fondamentale del diritto del lavoro italiano, che prevede che la situazione di un lavoratore in prova non possa essere penalizzata rispetto a quella di un lavoratore a tempo indeterminato. Alcuni contratti collettivi possono prevedere delle differenze specifiche per i lavoratori in prova, ma queste devono essere giustificate e non possono portare ad un trattamento discriminatorio. Questo è da intendersi sia in termini economici che normativi. In genere, fa eccezione soltanto il congedo matrimoniale, che può non essere riconosciuto ai dipendenti in prova. Un lavoratore che si trova nel periodo di prova non può essere licenziato durante la malattia. Infatti, durante la malattia, i lavoratori hanno diritto a conservare il posto di lavoro (con determinate specifiche temporali definite periodo di comporto): la norma non fa eccezione per chi è stato assunto da poco e si trova ancora nel periodo di prova. L'indennità di malattia è il trattamento economico riservato al lavoratore con riferimento al periodo in cui è impossibilitato a svolgere le proprie mansioni per malattia. Per quanto concerne il dipendente in prova, si applicano anche in questo caso le medesime regole vigenti per gli impiegati che hanno superato il periodo. Nel caso concreto, trattato in studio, il lavoratore ha ricevuto la lettera di licenziamento in data 18.08.2024, proprio durante il periodo di malattia iniziato in data 16.08.2024. Ne consegue che la comunicazione della datrice di lavoro è illegittima. In estrema sintesi, se la costituzione in opposizione avanzata dalla Società-datrice di lavoro potrà essere considerata dal Giudice del Lavoro meramente strumentale e priva di fondamento, potrebbe anche essere rigettata con pieno accoglimento della domande del lavoratore. Nel caso concreto, però il Giudice adito, ha considerato la lettera di licenziamento valida, ma non efficace nel periodo di prova. In concreto, durante la malattia erano sospesi i termini per il licenziamento: la datrice di lavoro ha dovuto risarcire il lavoratore per una somma decisa con equità paragonata ai giorni non lavorati fino alla conclusione del periodo di prova.

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Lo studio

Anastasia Fiorio
Via Crosaron, 18
San Bonifacio (VR)

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