Avvocato Valentina Ridoli a Bergamo

Valentina Ridoli

Avvocato civilista

Informazioni generali

Sono l'avv. Valentina Ridoli dello Studio Legale Ridoli Rossini. In studio offriamo servizi di consulenza e assistenza legale, stragiudiziale e giudiziale, in materia civile. Forniamo ai nostri clienti soluzioni pratiche e risolutive impegnandoci a garantire una difesa personalizzata in base alle loro specifiche necessità, assicurando i massimi standard di qualità.

Esperienza


Diritto del lavoro

Lo studio legale Ridoli Rossini offre assistenza e consulenza continua per una corretta gestione dei rapporti di lavoro, in particolare si occupa di contratti di lavoro, dimissioni e licenziamenti, risoluzione delle controversie stragiudiziali e giudiziali. L'avv. Valentina Ridoli oltre all'esperienza maturata in studio, ha tenuto corsi di formazione in diritto del lavoro a lavoratori assunti con contratto di apprendistato.


Diritto di famiglia

Offro assistenza e consulenza in materia di diritto di famiglia, della persona e dei minori, inclusi separazioni e divorzi, responsabilità genitoriale e tutela dei minori, obbligazione degli alimenti, cittadinanza, amministrazione di sostegno, unioni civili e convivenza.


Separazione

Offro consulenza ed assistenza nelle separazioni sia consensuali che giudiziali, con particolare attenzione agli aspetti patrimoniali e alla delicata gestione dei rapporti con i figli minori e/o maggiorenni non economicamente automi.


Altre categorie

Divorzio, Matrimonio, Incapacità giuridica, Brevetti, Marchi, Recupero crediti, Pignoramento, Sfratto, Risarcimento danni, Malasanità e responsabilità medica, Diritto civile, Eredità e successioni, Domiciliazioni e sostituzioni, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Diritto immobiliare, Affidamento, Adozione, Diritto condominiale, Locazioni, Immigrazione e cittadinanza, Edilizia ed urbanistica, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni.



Credenziali

Pubblicazione legale

E' legittimo il licenziamento del lavoratore che pubblica sul suo profilo facebook commenti lesivi dell'immagine aziendale?

Pubblicato su IUSTLAB

Il lavoratore, nonostante detenga la qualifica di sindacalista, può essere legittimamente licenziato a causa dell’utilizzo di espressioni dannose per la reputazione aziendale, pubblicate sul proprio profilo Facebook. Questo è quanto afferma la Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 35922/2023. Il caso oggetto della pronuncia riguarda il dipendente di un’azienda, licenziato per giusta causa per aver pubblicato sulla sua pagina Facebook una serie di commenti giudicati "gravemente dannosi per l'immagine e il prestigio dell'azienda, nonché per l'onorabilità e la dignità dei suoi dirigenti". Il licenziamento era stato comminato in quanto i commenti pubblicati, considerati lesivi dell'immagine della datrice di lavoro, dei suoi responsabili e di persone legate all’azienda, superavano ogni limite di critica e di satira, compromettendo in modo irreparabile il proseguimento del rapporto di lavoro. Benché il lavoratore avesse impugnato la decisione di licenziamento, sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano rigettato l'impugnativa confermando la natura diffamatoria delle condotte dell’uomo e l'assenza dei presupposti per la scriminante dell'esercizio del diritto di critica nell'ambito sindacale. Veniva, infatti, escluso che le espressioni utilizzate dal lavoratore e pubblicate sul suo profilo Facebook soddisfacessero i requisiti di un legittimo esercizio del diritto di critica. Tali espressioni, accessibili a tutti gli utenti, risultavano essere prive di una finalità informativa seria e finalizzate esclusivamente a danneggiare la reputazione dell'azienda. L’uomo decideva allora di proporre ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, condividendo la pronuncia del Giudice del merito, affermava che al lavoratore è garantito il diritto di esprimere critiche, anche severe, purché tali espressioni non ledano moralmente l'immagine del datore di lavoro o dei suoi dirigenti e/o non attribuiscano a questi ultimi qualità disonorevoli in relazione a fatti che non siano oggettivamente certi e provati. Aggiungeva, inoltre, che tali limiti si applicano al dipendente anche nel caso in cui agisca in veste di rappresentante sindacale. Per tali ragioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso.

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Lo studio

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Via Rosmini N. 2
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