Avvocato Roberta Dall'argine a Reggio Emilia

Roberta Dall'argine

Avvocato Arbitro Mediatore Civile Familiare, Gestore della Crisi da Sovraindebitamento

Informazioni generali

Sono Avvocato e Arbitro. Esperto in materia civile e commerciale, in contrattualistica in genere con particolare riguardo alle locazioni, al diritto di famiglia: separazioni e divorzi, affidamento dei figli minori e adozioni. Sono Mediatore Civile e Commerciale, Mediatore Familiare, e Gestore della crisi da Sovraindebitamento ed Esperto Negoziatore della Crisi Aziendale.

Esperienza


Diritto di famiglia

Sono esperto di diritto di famiglia e Mediatore Familiare e Curatore del minore. Mi occupo di separazioni e divorzi: cessazione degli effetti civili del matrimonio e dello scioglimento dello stesso, affidamento dei figli minori, curatore del minore, adozione, adozione del maggiorenne, step Child adoption, adozione del maggiorenne.


Affidamento

Mi occupo delle problematiche attinenti alla regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento dei figli di coppie conviventi e non legate da matrimonio, con particolare riguardo ed attenzione ai diritti dei figli minori e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.


Eredità e successioni

Sono Mediatore Civile e Commerciale e mi occupo di eredità, successioni e divisioni di eredità, tra fratelli e parenti. Tutte materie che prevedono la mediazione obbligatoria prima di adire il Tribunale, scongiurandone i tempi ed i costi.


Altre categorie

Separazione, Divorzio, Matrimonio, Adozione, Mediazione, Diritto civile, Fallimento e proc. concorsuali, Recupero crediti, Domiciliazioni e sostituzioni, Contratti, Tutela dei minori, Diritto commerciale e societario, Pignoramento, Appalti pubblici, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Incidenti stradali, Arbitrato, Risarcimento danni, Sovraindebitamento, Cassazione, Unioni civili, Incapacità giuridica, Fusioni e acquisizioni, Antitrust e concorrenza sleale, Proprietà intellettuale, Brevetti, Marchi, Franchising, Diritto bancario e finanziario, Investimenti, Usura, Antiriciclaggio, Diritto assicurativo, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Diritto ambientale, Diritto e sicurezza alimentare, Tutela degli animali, Diritto agrario, Diritto del turismo, Arte e beni culturali, Privacy e GDPR, Diritto canonico, Negoziazione assistita, Diritto del lavoro, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Previdenza, Diritto sindacale, Diritto penale, Violenza, Stalking e molestie, Truffe, Omicidio, Discriminazione, Sostanze stupefacenti, Diritto amministrativo, Ricorso al TAR, Aste giudiziarie, Diritto internazionale ed europeo.



Credenziali

Pubblicazione legale

Successione: che fare

Pubblicato su IUSTLAB

La successione ereditaria è legata ad un evento triste e spesso rimosso dai propri pensieri: la morte. Tuttavia, è bene conoscere come comportarsi quando ciò ineluttabilmente avviene. Quando avviene un decesso è, sin da subito, consigliabile rivolgersi ad un professionista, per avere informazioni sulla devoluzione della successione, per sapere cosa fare se vi è un testamento e cosa invece fare se il defunto nulla ha disposto per il caso di sua morte. Nel caso si trovi un testamento, infatti, lo si deve portare ad un notaio per la sua pubblicazione. Se invece non si sa se un testamento esiste ci si può rivolgere al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati o all’Archivio Notarile. È opportuno, poi, ricostruire un quadro completo del patrimonio del defunto, anche per predisporre la dichiarazione di successione ai fini fiscali, da effettuare entro il termine di un anno dalla morte. L’avvocato può essere d’aiuto preventivamente, ossia per redigere correttamente un testamento, per affidargli la custodia dello stesso e per occuparsi successivamente degli adempimenti del caso e per illustrare le regole vigenti sulla devoluzione del patrimonio. CHI SONO GLI EREDI I soggetti coinvolti nella successione dovranno, poi, decidere se procedere alla accettazione o rinunzia all’eredità, ovvero avere informazioni sulla disciplina applicabile in caso di legato: l’attribuzione, in altre parole, di un bene determinato. Le norme del codice che disciplinano questa materia, e cioè la devoluzione ereditaria nel caso in cui il de cuius non lasci un testamento, che sono definite nel loro insieme come “successione legittima”: in altre parole, in questo caso è la legge che individua gli eredi e quanto spetta a ciascuno di essi. Il codice civile, presumendo di interpretare la volontà del defunto, stabilisce, in sostanza, che qualora taluno deceda senza lasciare testamento, a lui succedono i suoi più stretti congiunti: il coniuge superstite e i figli; in mancanza di figli, succedono i fratelli, le sorelle e gli ascendenti; e, infine, qualora manchino tutti questi soggetti, succedono i parenti del defunto, con la regola che la sussistenza di un parente di grado più stretto esclude la successione del parente di grado più remoto, fino al sesto. Coloro che succedono per successione legittima si dicono “eredi legittimi”, da non confondere i “legittimari”, che sono coloro cui la legge necessariamente riserva una quota del patrimonio ereditario (detta “quota di riserva” o “quota di legittima”) e che possono impugnare le donazioni e le disposizioni testamentarie con le quali il de cuius abbia violato questa riserva. COSA PUO’ CONTENERE UN TESTAMENTO Il testamento ha un contenuto essenzialmente patrimoniale, ma può contenere anche disposizioni rilevanti sotto un profilo non strettamente patrimoniale: ad esempio, è possibile che il testatore utilizzi il proprio testamento per domandare la cremazione oppure per riconoscere un figlio naturale, e può contenere disposizioni che non hanno alcun rilievo giuridico ma solo un valore morale o religioso. Il testamento deve essere scritto, interamente di proprio pugno dal de cuius (testamento olografo) oppure scritto da un notaio (testamento pubblico. La legge non consente il testamento orale. Perché sia valido, il testamento deve essere redatto da persona di maggiore età, non interdetto e capace di intendere e di volere. Il testamento può essere sempre cambiato, per tutta la durata della vita del de cuius che può sempre revocare o modificare le precedenti volontà espresse. Per tutelare alcuni soggetti che hanno avuto con il defunto stretti rapporti familiari riserva a questi una rilevante quota del patrimonio ereditario, che non può essere esclusa nemmeno per testamento. CHI SONO GLI EREDI LEGITTIMI E CHI I LEGITTIMARI Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità sono: il coniuge, i discendenti e, in mancanza di discendenti, gli ascendenti. La legge riserva al coniuge la metà del patrimonio del de cuius , se non vi è concorso con i figli. La quota riservata al coniuge si riduce infatti in caso di concorso con i figli e precisamente: - a un terzo del patrimonio nel caso di concorso con un solo figlio; e: - a un quarto nel caso di concorso con più figli. Nel caso di concorso con ascendenti, la quota del coniuge rimane invece sempre pari alla metà dell'asse ereditario. Al coniuge superstite, anche se concorre con altri chiamati, sono poi sempre riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza famigliare e di uso sui mobili che la corredano. A favore dei figli, se non vi è concorso con il coniuge, è riservata la metà del patrimonio se il genitore lascia un figlio solo; se i figli sono più di uno, è loro riservata una quota di due terzi del patrimonio ereditario da dividersi in parti uguali. Gli ascendenti (genitori, nonni, bisnonni, ecc.) sono eredi necessari qualora il defunto non lasci figli legittimi o naturali. Essi hanno diritto ad un terzo del patrimonio ereditario. Se peraltro esiste una pluralità di ascendenti, la quota che complessivamente è loro riservata si ripartisce secondo il seguente criterio: per una metà succedono gli ascendenti della linea paterna e per l'altra metà gli ascendenti della linea materna. Se infine gli ascendenti non sono di egual grado, l'eredità è devoluta a quello di grado più vicino al defunto, senza distinzione di linea. QUANTO COSTA LA SUCCESSIONE L’imposta di successione ha avuto una storia travagliata: essa è stata disciplinata, a far tempo dal 1° gennaio 1991, dal testo unico di cui al decreto legislativo 346/1990 (anteriormente era disciplinata dal dpr 637 del 1972). Con l’articolo 13 della legge 383/2001, in vigore dal 25 ottobre 2001, l’imposta di successione venne poi soppressa, ma in seguito, con il decreto legge 262/2006 (entrato in vigore il 3 ottobre 2006), venne reintrodotta nel nostro ordinamento la tassazione delle successioni a causa di morte così come era disciplinata, tranne che per alcuni aspetti (principalmente le aliquote e le franchigie), dal predetto d. lgs. 346/1990. Attualmente, la tassazione inerente la trasmissione ereditaria è la seguente: a) se eredi siano il coniuge o i parenti in linea retta del de cuius , l’aliquota è del 4 per cento sul valore dell’attribuzione eccedente la soglia di 1 milione di euro per ciascun beneficiario (se quindi il defunto lascia il coniuge e un figlio e un’eredità del valore di 2,3 milioni di euro, si tassa con il 4 per cento il valore di euro 300mila); b) se eredi siano fratelli e sorelle del de cuius , va applicata l’aliquota del 6 per cento al valore dell’attribuzione eccedente la soglia di 100mila euro per ciascun beneficiario (e così, se il defunto lascia il coniuge e due fratelli, con attribuzione di 1,5 milioni per ciascuno, il coniuge è tassato con il 4 per cento del valore di euro 500mila mentre ciascun fratello è tassato con il 6 per cento del valore di euro 1,4 milioni); c) se eredi siano altri parenti del defunto fino al quarto grado (ad esempio, un cugino del defunto), affini in linea retta del defunto (il genero, il suocero) oppure affini in linea collaterale del defunto fino al terzo grado (un cognato), l’aliquota da applicare al valore ereditato è del 6 per cento e, in questo caso, non è prevista alcuna franchigia; d) se infine succedano al defunto soggetti diversi da quelli elencati in precedenza, si applica l’aliquota dell’8 per cento, senza franchigie. E’, quest’ultimo, il frequente caso dei conviventi non coniugati (né uniti in una unione civile): per le convivenze, infatti, la nostra legge non prevede regole particolari in materia di imposta di successione. Occorre precisare, infine, in tema di franchigia, che la legge ha un particolare riguardo per il successore che sia portatore di un handicap qualificato “grave”: in questo caso, infatti, a prescindere dal rapporto di parentela o affinità tra il defunto e l’erede disabile, questi comunque beneficia di una franchigia di un milione e 500mila euro. Il valore cui applicare le predette aliquote è, di regola, il valore “corrente” dei beni che compongono l’asse ereditario. Per assolvere l’obbligo di pagamento dell’imposta di successione occorre presentare all’Agenzia delle Entrate l’apposito “modello 4” (e cioè la cosiddetta “dichiarazione di successione”, reperibile presso ogni ufficio locale dell’Agenzia o sul suo sito internet), predisposto appunto per segnalare al fisco l’identità del defunto e dei suoi successori nonché la composizione dell’asse ereditario. QUANDO PRESENTARE LA DENUNCIA DI SUCCESSIONE La presentazione della dichiarazione di successione deve avvenire entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, corrispondente, di regola, alla data di morte del contribuente. Competente a ricevere la dichiarazione di successione è l'ufficio dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione era l’ultima residenza del defunto. È bene ricordare che prima di presentare la dichiarazione di successione occorre provvedere all’autoliquidazione e al pagamento, utilizzando il modello F23, dei seguenti tributi: l’imposta ipotecaria (codice tributo 649T), l’ imposta catastale (codice 737T), l’ imposta di bollo (per ogni formalità di trascrizione richiesta: codice 456T), la tassa ipotecaria (codice 778T, per ogni ufficio del Territorio territorialmente competente). L’imposta di successione viene invece liquidata dall’Ufficio e l’avviso di liquidazione viene notificato al contribuente, che ha 60 giorni per pagarla.

Pubblicazione legale

La successione ereditaria

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Al momento della morte della persona si apre nel luogo del suo ultimo domicilio la successione ereditaria che può definirsi testamentaria o legittima, a seconda che il defunto abbia lasciato o meno un testamento valido. Con la successione legittima (che si applica anche per quei beni eventualmente esclusi da un testamento parziale) interviene la legge ad individuare gli eredi che si definiscono “legittimi” nelle persone degli stretti congiunti del defunto. La quota che spetta al coniuge (in mancanza di figli, ascendenti e fratelli) In mancanza di figli, ascendenti e fratelli spetta tutta l’eredità al coniuge superstite , anche se separato, purché senza addebito . In tema di coppie di fatto e unioni civili la recente legge n. L. n. 76/2016, meglio conosciuta come Legge Cirinnà, ha equiparato anche a livello successorio la parte dell’unione civile al coniuge, attribuendole gli stessi diritti che derivano dal vincolo matrimoniale. La quota dei figli (in assenza del coniuge) Alla morte del genitore, i figli legittimi, adottati e naturali (la cui condizione sia stata riconosciuta o giudizialmente accertata) entrano, in regime di piena parità, a far parte della comunione ereditaria. Concorso tra figli e coniuge Concorrendo il coniuge con un solo figlio, spetta ad entrambi la metà del patrimonio; mentre il concorso con due o più figli attribuisce al coniuge 1/3 dell’eredità e i restanti 2/3 da dividersi equamente tra tutti i figli (art. 581 c.c.). Quota spettante ai fratelli (in mancanza di figli e in presenza o in assenza del coniuge) Nell’ipotesi in cui non vi siano figli, genitori, né ascendenti, subentrano al defunto in parti uguali i fratelli e le sorelle (ereditano la metà della quota conseguita dai “germani” i fratelli “unilaterali”, rispettivamente coloro che hanno in comune entrambi i genitori oppure uno solo). Premesso che i “germani” sono fratelli/sorelle che hanno in comune gli stessi genitori, mentre gli “unilaterali” hanno in comune un solo genitore (“consanguinei” se hanno in comune il padre, “uterini” se hanno in comune la madre), il Codice Civile privilegia in questo modo i primi sulla base di quello che viene ritenuto per i “germani” un più accentuato vincolo di parentela con il defunto. In caso di concorso con il coniuge superstite cui spettano i 2/3, ai fratelli spetterà il restante 1/3. I fratelli concorrono per la metà del patrimonio con i soli ascendenti ai quali chiaramente è destinato il restante ½. Quota spettante ai genitori In mancanza di figli, fratelli e loro discendenti succedono alla persona deceduta entrambi i genitori per parti uguali o quello che sopravvive; la norma si applica anche ai genitori adottivi di persona minore di età, viceversa sono esclusi da questa previsione i genitori che hanno adottato una persona maggiorenne che poi appunto decede. Quota spettante agli ascendenti I nonni materni e paterni succedono al nipote deceduto (ciascuna coppia per la metà), quando questi non lascia figli, genitori, fratelli e loro discendenti. Concorso tra ascendenti, fratelli e coniuge Al coniuge che concorre in successione insieme agli ascendenti e ai fratelli, spettano 2/3 dell’eredità (oltre il diritto d’uso e di abitazione della casa coniugale) e la parte che rimane è devoluta agli altri, salvo il diritto degli ascendenti ad un ¼ dell’eredità. La quota spettante agli altri parenti La mancanza di figli, genitori, fratelli e loro discendenti ed anche di ascendenti determina l’apertura della successione a favore dei parenti prossimi (quindi zii e o cugini). Cosa accade se non ci sono parenti? Limitata per legge la successione legittima ai parenti fino al sesto grado per l’irrilevanza affettiva dei rapporti familiari oltre tale grado di parentela, in mancanza di successibili è lo Stato ad acquisire i beni ereditari senza la necessità di accettarli e senza potervi rinunciare; lo Stato non è un comune erede, quindi non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.

Pubblicazione legale

Tempi e costi del divorzio

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Nel 2015 è stato introdotto, il cosiddetto “divorzio breve”. La procedura prevede che non possa esserci divorzio definitivo senza un periodo di separazione legale. Se la separazione è consensuale, bastano 6 mesi dal pronunciamento. Se è giudiziale, il tempo raddoppia. Le strade possibili da percorrere in questo caso sono tre, valide sia per la separazione che per il divorzio definitivo, da richiedere al termine del periodo di legge: – La separazione o divorzio consensuale con negoziazione assistita, che è il percorso più breve in presenza di figli minorenni. – Il ricorso per separazione o divorzio davanti al presidente del Tribunale. – La separazione o il divorzio senza avvocato nel Comune di residenza di uno dei due coniugi o dove è stato celebrato il matrimonio. Tale procedura non è però possibile in presenza di figli minorenni, portatori di handicap o non autosufficienti economicamente. A seconda della procedura prescelta, cambiano le spese che i futuri ex-coniugi dovranno affrontare. 1) Con la negoziazione assistita le tariffe variano dai 400 ai 3 mila euro compresi eventuali bolli o tasse. Raggiunto l’accordo di separazione o di divorzio, gli avvocati devono redigere entro un mese un apposito verbale, che verrà firmato dalle parti e inviato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente. Non è dovuto alcun contributo unificato. Le disposizioni sui beni patrimoniali, in quanto funzionali alla risoluzione della crisi, non sono sottoposte a imposta di bollo e di registro presso l’Agenzia delle Entrate. 2) Il divorzio o separazione consensuale davanti al Tribunale può invece avere tariffe diverse: la procedura è sottoposta al contributo di 43 euro che andrà sommata la parcella del legale. Non è infatti previsto l’addebito delle spese della separazione a uno soltanto dei coniugi, salvo casi eccezionali decisi dal giudice. 3) La separazione o divorzio in Comune davanti all’ufficiale civile è naturalmente la soluzione più economica, ma non sempre la più veloce perché alcuni comuni hanno l’agenda piena e non riescono a fissare l’appuntamento in tempi brevi. Il costo della separazione o divorzio si aggira tra i 16 e i 30 euro. Quella della separazione giudiziale è certamente la strada più lunga e costosa, inevitabile se i coniugi non riescono a raggiungere un accordo. La separazione o divorzio si chiede al Tribunale che ne deciderà le condizioni al termine di una fase istruttoria. In caso di divorzio o separazione giudiziale il contributo congiunto sale da 43 a 98 euro e l’onorario degli avvocati sarà molto più elevato, arrivando anche a superare i 5 mila euro. In sede separazione o divorzio giudiziale, il coniuge che perde la causa dovrà anche farsi carico delle spese processuali, che di solito variano tra i 1.500 e i 4 mila euro. Spesso alla parte più debole economicamente fra i separati o divorziati, oppure ai figli, spetta – a carico dell’altro– un cosiddetto assegno di mantenimento che è una sorta di garanzia al contributo equo di entrambi gli ex-coniugi alla vita familiare. Il quantum viene definito consensualmente oppure dal giudice a seconda del tipo di separazione/divorzio che si percorre. Una volta ottenuto il divorzio, non essendo più valido il vincolo di assistenza materiale, si parla di assegno divorzile e non più di “mantenimento”. In una separazione consensuale, saranno i coniugi ad accordarsi e i magistrati verificheranno la conformità degli accordi alle norme di legge. In caso di separazione giudiziale invece, deciderà il giudice tenendo conto dei seguenti criteri: le attuali esigenze dei figli, il loro tenore di vita durante il matrimonio e il tempo di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, le proprietà e la loro abilità al lavoro.

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