Avvocato Martino Colombo a Valsolda

Martino Colombo

Avvocato penalista e civilista

Informazioni generali

L’Avvocato Colombo, iscritto all'Ordine Degli Avvocati dall'anno 2003, fornisce consulenza e assistenza nelle seguenti aree di attività: Diritto penale, Diritto civile, Contrattualistica, Assistenza legale settore Automotive, Successioni, Diritto Immobiliare, Locazioni e Affitti, Diritto di famiglia, Separazioni e divorzi, Tutela dei minori, Ricorsi al Giudice Tutelare, Diritto delle Assicurazioni, Risarcimento danni alla persona, Infortunistica stradale, Responsabilità medica, Tutela dell'immagine aziendale, Rimozione recensioni false e/o diffamatorie suoi principali motori di ricerca e/o social network, Recupero crediti.

Esperienza


Recupero crediti

Ottima conoscenza ed esperienza dell'iter per il recupero del credito, dalla formazione del titolo esecutivo alle diverse procedure esecutive, con i relativi giudizi di opposizione. Capacità ed esperienza al fine di pianificare la strategia migliore per il recupero del credito, con soddisfazione per il cliente. Chiusura della posizione a saldo e stralcio.


Diritto civile

Mi occupo di contratti, assistenza stragiudiziale ai privati e alle imprese, recupero credito, condomini e risarcimenti danni. Lo spiccato senso pratico nello svolgimento degli incarichi affidati, consente di suggerire e consigliare la strategia migliore e più efficace nel raggiungere il risultato migliore per il cliente.


Separazione

Separazioni consensuali e giudiziali, assegno di mantenimento e affidamento dei figli. L’approccio alla separazione tiene conto del risultato da ottenere e cerca di essere da subito volto ad una soluzione conciliativa che consenta di raggiungere lo scopo in breve tempo con il massimo della soddisfazione. Laddove tuttavia le situazioni oggettive non consentano il risultato sperato si procede in contenzioso in maniera da tutelare in maniera totale per quello che la legge consente, i diritti della parte assistita.


Altre categorie

Diritto penale, Locazioni, Risarcimento danni, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Contratti, Stalking e molestie, Truffe, Diritto condominiale, Sfratto, Tutela del consumatore, Diritto immobiliare, Malasanità e responsabilità medica, Diritto del turismo, Divorzio, Diritto assicurativo, Pignoramento, Incidenti stradali, Negoziazione assistita, Matrimonio, Violenza, Aste giudiziarie, Edilizia ed urbanistica, Multe e contravvenzioni, Mediazione, Gratuito patrocinio, Affidamento.



Credenziali

Pubblicazione legale

Rette RSA per malati di Alzheimer o demenza: chi deve pagare? La giurisprudenza dice SSN

Pubblicato su IUSTLAB

Il tema del pagamento delle rette per i ricoveri in RSA di persone affette da Alzheimer o demenza senile è da anni oggetto di controversie. Tuttavia, la giurisprudenza – a partire dalla Cassazione del 2012 e fino alle più recenti pronunce del 2024 – ha chiarito che tali prestazioni devono essere integralmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) , e non dei pazienti o dei loro familiari. Con la sentenza n. 2038/2023 , la Corte di Cassazione ha ribadito che l’assistenza fornita a soggetti gravemente affetti da Alzheimer è da qualificarsi come prestazione sanitaria , ai sensi dell’art. 30 della legge n. 730/1983, in quanto le cure e il sostegno assistenziale risultano inscindibilmente connessi . Di conseguenza, la retta di degenza deve gravare sul sistema sanitario pubblico, anche quando la struttura non sia ospedaliera ma convenzionata o accreditata. La Corte d’Appello di Milano , con la sentenza n. 3489 del 19 dicembre 2024, ha confermato tale orientamento, accogliendo il ricorso degli eredi di una donna affetta da Alzheimer e condannando la RSA a restituire oltre 120.000 euro di rette indebitamente pagate. I giudici hanno sottolineato che il discrimine tra prestazione sanitaria e socioassistenziale dipende dalla condizione clinica del malato , non dalle caratteristiche della struttura. Se le cure sanitarie e assistenziali sono funzionalmente integrate e necessarie per contenere la progressione della malattia, l’intervento deve ritenersi sanitario a tutti gli effetti. Questo principio, già espresso dalla Cassazione n. 4558/2012 , trova fondamento nell’art. 32 della Costituzione: la tutela della salute è un diritto fondamentale e, quando la componente sanitaria è prevalente o inscindibile, l’intera prestazione dev’essere gratuita. Lo stesso indirizzo è stato più volte confermato (Cass. nn. 13714/2023, 25660/2023, 4752/2024, 26943/2024), sancendo che la “prevalenza” delle cure non va intesa in senso quantitativo, ma in termini di necessità terapeutica e integrazione funzionale con l’assistenza. Numerose decisioni di merito (Foggia, Monza, Roma, Firenze) hanno applicato tale principio, imponendo al SSN e ai Comuni la copertura totale o parziale delle rette e riconoscendo ai familiari il diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate. Chi ha sostenuto tali spese può dunque agire in giudizio per ottenere il rimborso , configurabile come ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c., entro il termine di dieci anni . La direzione è ormai chiara: per i pazienti affetti da Alzheimer o gravi forme di demenza, l’assistenza in RSA costituisce una prestazione sanitaria integrata , e come tale deve essere garantita – integralmente e senza oneri per le famiglie – dal sistema sanitario pubblico.

Pubblicazione legale

Distacco Centralizzato: La Perizia Tecnica è Obbligatoria per la Legittimità

Pubblicato su IUSTLAB

Il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato è un diritto soggettivo del condomino, come stabilito dall'articolo 1118 comma 4 del Codice Civile. Tuttavia, questo diritto non è incondizionato, ma subordinato a una rigorosa verifica: l'operazione deve avvenire senza causare "notevoli squilibri di funzionamento" e, soprattutto, senza generare "aggravi di spesa per gli altri condomini". L'onere di dimostrare l'assenza di tali pregiudizi spetta interamente al condomino che si distacca. La giurisprudenza, confermata da diverse pronunce, inclusa la recente sentenza del Tribunale di Napoli (n. 350 del 14.01.2025), ha chiarito che non è sufficiente una semplice dichiarazione di buon esito da parte dell'impresa installatrice. Nel caso in esame, il Giudice ha rigettato la richiesta di rimborso delle spese versate post-distacco, giudicando la certificazione prodotta "come se non esistesse". Il motivo è semplice: mancavano i calcoli specifici, i riferimenti ai consumi pregressi e le valutazioni sugli squilibri termici. La prova richiesta è, infatti, una perizia tecnica asseverata, redatta da un professionista abilitato (termotecnico), che attesti analiticamente il rispetto dei parametri legali. Senza questo supporto documentale qualificato, l'operazione di distacco è illegittima e contestabile. Un altro aspetto fondamentale riguarda gli obblighi economici che permangono. È errato credere che il distacco porti all'azzeramento dei costi. Il condomino rinunziante rimane comproprietario della centrale termica e delle condutture comuni e, pertanto, deve concorrere a due categorie di spesa: la manutenzione straordinaria (e conservazione dell'impianto) e il consumo involontario. Quest'ultimo copre le dispersioni di calore delle tubazioni condominiali che attraversano l'unità immobiliare. Non pagare tale quota rappresenterebbe un illegittimo aggravio per gli altri condomini. Infine, è tassativamente vietato dalla Corte di Cassazione (ad esempio con l'ordinanza n. 26185/2023) il cosiddetto "distacco passivo". Chi interrompe il collegamento senza installare un autonomo generatore di calore a norma non fa altro che sfruttare l'inerzia termica dell'edificio, raffreddando gli appartamenti adiacenti e realizzando di fatto un "furto di calore" ai danni della collettività condominiale. L'autonomia termica è un diritto, ma va esercitata con responsabilità e, soprattutto, con la dovuta documentazione tecnica a supporto.

Pubblicazione legale

Pezzotto, IP e privacy: cosa succede davvero quando DAZN scrive.

Pubblicato su IUSTLAB

Negli ultimi mesi molte persone hanno trovato nella propria cassetta della posta una comunicazione inaspettata da DAZN: una richiesta di 500 euro per chiudere “bonariamente” una presunta violazione del diritto d’autore legata all’uso del cosiddetto pezzotto, ovvero servizi IPTV illegali. La sensazione comune è stata quella di trovarsi davanti a una sorta di multa, con dubbi immediati su obblighi, rischi penali e responsabilità personali. In realtà, la vicenda è molto più complessa e richiede lucidità. La legge n. 93 del 2023, la cosiddetta “legge anti pezzotto”, ha rafforzato i poteri dell’AGCOM nel contrasto alla pirateria audiovisiva, consentendo il blocco rapido delle trasmissioni illegali. La norma, pur fondata su un principio legittimo – la tutela della proprietà intellettuale – non equipara l’utente finale a chi organizza o trae profitto dalla pirateria. È quindi fondamentale distinguere tra il contrasto ai grandi flussi illeciti e la responsabilità del singolo cittadino. Le lettere di DAZN non sono atti dell’autorità, non sono multe né provvedimenti amministrativi: si tratta di proposte transattive private. Accettarle significa riconoscere implicitamente la propria responsabilità; rifiutarle è un diritto del destinatario. L’azienda, qualora decidesse di procedere in giudizio, dovrebbe provare che quella specifica persona abbia effettivamente fruito volontariamente di contenuti illeciti. Ma un indirizzo IP identifica una linea, non una persona, e può essere condiviso, utilizzato da terzi o alterato. La giurisprudenza, anche penale, ha più volte chiarito che l’IP non è prova sufficiente senza ulteriori elementi concreti e convergenti. Rilevanti anche i profili di privacy. I dati su cui si basano le lettere derivano da indagini della Guardia di Finanza, ma il loro utilizzo da parte di un soggetto privato richiede basi giuridiche autonome e conformi al GDPR. Chi riceve la comunicazione ha il diritto di chiedere a DAZN l’origine dei dati, la finalità del trattamento e la base giuridica; in caso di mancate risposte, può rivolgersi al Garante. La strada corretta per chi riceve la lettera è semplice: niente panico, nessun pagamento immediato, e nessuna rimozione superficiale del problema. Occorre valutare la situazione con un avvocato, richiedere le prove, contestare eventuali incongruenze e far valere i propri diritti. La legalità digitale non può trasformarsi in automatismo intimidatorio: deve restare un equilibrio tra tutela dei contenuti e tutela dei cittadini.

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