Pubblicazione legale:
La fonte normativa
Nell’ambito del diritto
costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.) di poter organizzare liberamente
la propria attività imprenditoriale, il datore di lavoro può procedere al licenziamento
per giustificato motivo oggettivo (c.d. per GMO), ossia al
licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo
regolare funzionamento (art. 3 L. 15.7.1966, n. 604).
Rientra nell’ambito dei licenziamenti
per GMO il recesso datoriale esercitato per soppressione del posto di lavoro.
Presupposti di legittimità
del licenziamento per soppressione del posto di lavoro
Il datore di lavoro che
intenda procedere a un licenziamento per soppressione del posto di lavoro del
dipendente deve essere consapevole che, in caso di impugnazione,
sarà tenuto a dimostrare in giudizio:
Le ragioni di carattere economico sono quelle finalizzate a garantire una riduzione dei
costi o un incremento di profitti, mentre le ragioni di carattere tecnico -
produttivo sono quelle finalizzate a garantire un aumento dell'efficienza
del lavoro e della produzione (T. Milano n. 73/2018).
A titolo esemplificativo, tali
ragioni possono identificarsi nell’esigenza di:
Le ragioni di carattere economico
o di carattere tecnico-produttivo devono rappresentare la causa
della modifica dell’assetto organizzativo aziendale, ossia della
riorganizzazione (Cass. n.
10699/2017)
La riorganizzazione può consistere nella (Cass. n. 15082/2016):
La riorganizzazione aziendale
deve essere all’origine del licenziamento e non costituirne un mero effetto di
risulta (Cass. n. 24502/2011).
È la riorganizzazione che,
pertanto, comporta e si concretizza tramite la soppressione del posto di
lavoro e non il contrario.
La soppressione del posto
di lavoro deve essere effettiva: non vi è soppressione del posto di
lavoro nel caso in cui avvenga una mera sostituzione del dipendente licenziato
con altro lavoratore assunto a minor costo, perché retribuito meno per lo
svolgimento di identiche mansioni (Cass. SS.UU. n. 3353/1994; Cass. n. 3899/2001;
Cass. n. 13516/2016)
In relazione al presupposto del nesso
causale tra le ragioni del licenziamento e la posizione lavorativa soppressa
vi è da ricordare che, ove la riorganizzazione aziendale si identifichi nell’esigenza
di ridurre personale omogeneo e fungibile, nell'individuare il
lavoratore da licenziare, il datore di lavoro deve agire in conformità ai
principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass.
n. 11124/2004). Conseguentemente, il datore di lavoro deve prendere in
considerazione, in via analogica rispetto a quanto previsto in materia di
licenziamento collettivo, i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità
aziendale, salva la possibilità di prendere in considerazione criteri
diversi, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle
posizioni dei lavoratori interessati (Cass. n. 25192/2016).
Infine, quanto all’onere di
repêchage, trattasi di un elemento inespresso a livello normativo che,
tuttavia, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che
nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta di
recesso datoriale (Cass. n. 24882/2017).
L’onere di repêchage impone al
datore di lavoro di valutare, prima del licenziamento, la possibilità di
adibire il lavoratore “colpito” dagli effetti della riorganizzazione aziendale
a diverse mansioni e, pertanto, di “offrire la mansione alternativa anche
inferiore al lavoratore, prospettandone il demansionamento, in attuazione del
principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove
la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore” (Cass. 18904/2024).
Il nodo centrale: cosa spesso “non
funziona” nelle lettere di licenziamento per soppressione del posto di lavoro
Molti licenziamenti per
soppressione del posto di lavoro risultano giudizialmente vulnerabili a causa
di una gestione superficiale della fase preparatoria. Spesso, infatti, le lettere
di recesso finiscono per riportare motivazioni generiche o mutuate da
casi giurisprudenziali del tutto estranei alla situazione concreta dell’azienda.
Accade così che venga invocata,
ad esempio, una “crisi economica non contingente” a fronte di bilanci in
attivo, quando sarebbe stato sufficiente – se effettivamente ricorrente –
richiamare l’esigenza di migliorare l’efficienza gestionale o di una
razionalizzazione dei costi.
Motivi non dimostrabili in
giudizio determinano l’illegittimità del licenziamento: “ai fini della
legittimità del licenziamento […] l'andamento
economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il
datore di lavoro debba necessariamente provare […] ove però il licenziamento sia stato
motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche
sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio
si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare
ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e
sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore"
(Cass. n. 25201/2016).
Ugualmente, costruire ex post
una riorganizzazione “di comodo”, non adeguatamente pianificata e
documentata, indebolisce irrimediabilmente la difesa datoriale.
È infine fondamentale adempiere in modo effettivo all’onere di repêchage, tramite un esame approfondito dell’organigramma e delle posizioni disponibili, anche inferiori, formalizzando – se esistente – una reale proposta alternativa al lavoratore.
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