Alla morte di una persona, i soggetti ai quali si devolve l'eredità, per legge o per testamento, sono "chiamati all'eredità". Essi diventeranno "eredi" solo con l’accettazione dell’eredità che può avvenire in maniera espressa (art. 475 c.c. “in
un atto pubblico o in una scrittura privata”, il chiamato all’eredità
ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede”) oppure in maniera tacita (art. 476 c.c. “quando
il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente
la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non
nella qualità di erede”).
L'eredità, una volta accettata - in maniera tacita o in maniera espressa - non può più essere rinunciata.
Accettare l'eredità significa diventare proprietario di tutti i beni e i crediti del defunto ma anche assumere l'obbligazione per tutti i debiti del defunto.
Ecco perchè occorre porre massima attenzione alle ipotesi di accettazione tacita dell’eredità ovvero a tutte quelle ipotesi nelle quali si compiono azioni concludenti incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità e si diventa pertanto, automaticamente, eredi.
Oggi poniamo l'attenzione sulla dichiarazione di successione presentata dai chiamati all'eredità del defunto.
Sul tema si è recentemente pronunciata la Suprema Corte ribadendo che ai
fini dell’accettazione tacita dell’eredità è irrilevante la
trascrizione della denuncia di successione in assenza di altri atti
inequivocabilmente rivolti all’assunzione della qualità di erede (Cass. Civ. n. 4848/2019).
Ciò in quanto la dichiarazione di successione e il relativo pagamento delle imposte
sono atti a valenza fiscale e non producono effetto da un punto di vista puramente civilistico.
Nel caso pertanto vi sia un dubbio circa l'opportunità o meno di accettare l'eredità morendo dismessa da un congiunto, è importante rivolgersi senza ritardo ad un professionista al fine di evitare, in buona fede, di compiere azioni che comportino automaticamente l'acquisizione dello staus di erede.