Pubblicazione legale:
IL CASO
Tizio richiede una SCIA avente ad
oggetto diversi interventi di demolizione, ricostruzione e ampliamenti di un
fabbricato di sua proprietà.
Il Comune Alfa, analizzata la
domanda ed i documenti ad essa allegati, nega la concessione richiesta, in
quanto l’eventuale autorizzazione avrebbe consentito di eseguire dei lavori che
avrebbero leso il decoro architettonico dell’edificio.
Avverso detto provvedimento di
diniego, Tizio ha proposto ricorso al Consiglio di Stato.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Consiglio di Stato ha accolto il
ricorso presentato da Tizio, ritenendo non consentito all’Ente comunale di
entrare nel merito della vicenda e, soprattutto, della lesione o meno del
decoro architettonico dell’edificio in caso di esecuzione di lavori di
ristrutturazione.
I PRINCIPI EMERSI DALLA SENTENZA IN
QUESTIONE
La fattispecie sottoposta
all’attenzione del Consiglio di Stato apre un interessante dibattito in ordine
al “margine di operatività” dell’Ente pubblico (in questo caso un Comune)
qualora si debba valutare se l’esecuzione di un determinato intervento di ristrutturazione
sia o meno lesivo del c.d. “decoro architettonico” dell’edificio.
Nel caso di specie il Comune Alfa
era entrato nel merito della vicenda, sotto detto aspetto, ed aveva negato la
SCIA a Tizio, sul presupposto che i lavori che esso avrebbe voluto eseguire e
per i quali aveva richiesto il permesso, secondo il comune avrebbero per
l’appunto leso il decoro architettonico dell’edificio.
Il Consiglio di Stato,
nell’accogliere il ricorso di Tizio, ha invece evidenziato che la valutazione
del decoro architettonico dell’edificio alla stregua dell’art. 1120 c.c. sia di
pertinenza esclusiva di ciascun comproprietario e non possa essere sostituta da
quella della Pubblica Amministrazione, in quanto rientrante nelle facoltà, per
l’appunto, del solo proprietario (o, più precisamente, di ogni singolo
proprietario degli appartamenti facenti parte del Condominio).
Non è quindi consentito al Comune,
in sede di rilascio del titolo, valutare aspetti prettamente condominiali, che
non appaiono per nulla pacifici o, comunque, che non sono di immediata
evidenza. Nel caso in commento, la Pubblica Amministrazione si è di fatto
sostituita ai comproprietari dell’edificio in un giudizio che ha evidenti
margini di soggettività, riguardante il decoro architettonico della facciata
condominiale e che, alla stregua dell'art. 1120 c.c., deve ritenersi di competenza
dei soli condomini.
La sentenza in commento, dunque, ha
chiarito che il Comune può unicamente entrare nel merito di eventuali
difformità o di abusi edilizi, negando la concessione del titolo richiesto o
revocandone uno concesso.
In questi casi, infatti, si tratta
di un potere non discrezionale, bensì vincolato al rispetto ed alla conformità
del titolo abilitativo rilasciato.
Sul punto a nulla rileva lo spirare
del termine di 60 giorni per l’esame della SCIA in quanto, così emerge dalla
sentenza oggetto del presente commento, laddove si riscontri la realizzazione di
opere abusive, lo spirare del termine per il controllo della SICA edilizia non
consuma il potere dell’ente locale di intervenire con interventi sanzionatori a
tutela del corretto assetto del territorio.
Come si può notare, dunque, non si
tratta di un potere soggettivo o discrezionale dell’ente, ma della verifica del
rispetto dei lavori e della loro corrispondenza con il titolo autorizzativo.
Come detto, invece, è sottratto al
potere dell’ente il giudizio sull’eventuale lesione del decoro architettonico,
attività meramente soggettiva e, in quanto tale, sottratta al potere di censura
dell’ente.
Consiglio di Stato, Sez. IV,
Sentenza n. 6345 del 17.09.2021.