Aborto a seguito di amniocentesi: onere della prova

Scritto da: Victor Gatto - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

 Il caso

Una coppia di coniugi, per fatti accaduti prima del 1.4.2017, citava in giudizio un ospedale e due medici, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'aborto subito a seguito di amniocentesi, allorché, il medico – contrariamente alle buone prassi mediche – aveva inserito l'ago nell'utero per ben tre volte.

In primo grado la domanda era accolta parzialmente. Il medico proponeva e la Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del sanitario, rigettato la domanda attorea in quanto l'inserimento dell'ago nell'utero della donna non era stato provato.

Proposto ricorso in Cassazione, la Suprema Corte lo accoglieva, annullano la sentenza di secondo grado, sul presupposto che il medico non aveva dimostrato di aver eseguito la prestazione professionale in modo diligente.

 

La questione

In tema di responsabilità medica, anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 24 del 2017 (c.d. Legge Gelli – Bianco), come si ripartisce l'onere della prova?

 

Le soluzioni giuridiche

Come noto, in base ai principi di diritto in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale, il danneggiato ha l'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del danneggiante (medico, struttura sanitaria, ecc..) e l'evento dannoso. In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza.

Nel caso in esame, la Corte di Cassazione civile con ordinanza n. 10050 del 29 marzo 2022, ha annullato la pronuncia della corte di appello. Infatti, tenuto conto della breve lasso di tempo trascorso tra amniocentesi e perdita del liquido amniotico da cui è poi seguito l'aborto, pur mancando la prova certa dell'inserimento per tre volte dell'ago nell'utero della donna, i sanitari non sono riusciti a dimostrare o ipotizzare un’eventuale causa alternativa alla perdita del liquido amniotico. Per questo motivo, secondo il principio del “più probabile che non” il ricorso è stato accolto e medico e struttura sanitaria condannati al risarcimento del danno. 



Pubblicato da:


Victor Gatto

Esperto in Malasanità e malpractice medica




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