Pubblicazione legale:
Il lavoratore, nonostante detenga
la qualifica di sindacalista, può essere legittimamente licenziato a causa
dell’utilizzo di espressioni dannose per la reputazione aziendale, pubblicate
sul proprio profilo Facebook. Questo è quanto afferma la Corte di Cassazione
con l'ordinanza numero 35922/2023.
Il caso oggetto della pronuncia
riguarda il dipendente di un’azienda, licenziato per giusta causa per aver
pubblicato sulla sua pagina Facebook una serie di commenti giudicati
"gravemente dannosi per l'immagine e il prestigio dell'azienda, nonché per
l'onorabilità e la dignità dei suoi dirigenti".
Il licenziamento era stato
comminato in quanto i commenti pubblicati, considerati lesivi dell'immagine
della datrice di lavoro, dei suoi responsabili e di persone legate all’azienda,
superavano ogni limite di critica e di satira, compromettendo in modo
irreparabile il proseguimento del rapporto di lavoro.
Benché il lavoratore avesse
impugnato la decisione di licenziamento, sia il Tribunale che la Corte
d'Appello avevano rigettato l'impugnativa confermando la natura diffamatoria
delle condotte dell’uomo e l'assenza dei presupposti per la scriminante
dell'esercizio del diritto di critica nell'ambito sindacale. Veniva, infatti,
escluso che le espressioni utilizzate dal lavoratore e pubblicate sul suo
profilo Facebook soddisfacessero i requisiti di un legittimo esercizio del
diritto di critica. Tali espressioni, accessibili a tutti gli utenti,
risultavano essere prive di una finalità informativa seria e finalizzate
esclusivamente a danneggiare la reputazione dell'azienda.
L’uomo decideva allora di
proporre ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, condividendo la
pronuncia del Giudice del merito, affermava che al lavoratore è garantito il
diritto di esprimere critiche, anche severe, purché tali espressioni non ledano
moralmente l'immagine del datore di lavoro o dei suoi dirigenti e/o non
attribuiscano a questi ultimi qualità disonorevoli in relazione a fatti che non
siano oggettivamente certi e provati. Aggiungeva, inoltre, che tali limiti si
applicano al dipendente anche nel caso in cui agisca in veste di rappresentante
sindacale.
Per tali ragioni, la Cassazione
ha rigettato il ricorso.