Pubblicazione legale:
Il tema del pagamento delle rette
per i ricoveri in RSA di persone affette da Alzheimer o demenza
senile è da anni oggetto di controversie. Tuttavia, la
giurisprudenza – a partire dalla Cassazione del 2012 e fino alle
più recenti pronunce del 2024 – ha chiarito che tali prestazioni
devono essere integralmente a carico del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN),
e non dei pazienti o dei loro familiari.
Con
la sentenza n.
2038/2023, la Corte
di Cassazione ha ribadito che l’assistenza fornita a soggetti
gravemente affetti da Alzheimer è da qualificarsi come prestazione
sanitaria, ai sensi
dell’art. 30 della legge n. 730/1983, in quanto le cure e il
sostegno assistenziale risultano inscindibilmente
connessi. Di
conseguenza, la retta di degenza deve gravare sul sistema sanitario
pubblico, anche quando la struttura non sia ospedaliera ma
convenzionata o accreditata.
La
Corte d’Appello di
Milano, con la
sentenza n. 3489 del 19 dicembre 2024, ha confermato tale
orientamento, accogliendo il ricorso degli eredi di una donna affetta
da Alzheimer e condannando la RSA a restituire oltre 120.000
euro di rette
indebitamente pagate. I giudici hanno sottolineato che il discrimine
tra prestazione sanitaria e socioassistenziale dipende dalla
condizione clinica del malato,
non dalle caratteristiche della struttura. Se le cure sanitarie e
assistenziali sono funzionalmente integrate e necessarie per
contenere la progressione della malattia, l’intervento deve
ritenersi sanitario a tutti gli effetti.
Questo
principio, già espresso dalla Cassazione
n. 4558/2012, trova
fondamento nell’art. 32 della Costituzione: la tutela della salute
è un diritto fondamentale e, quando la componente sanitaria è
prevalente o inscindibile, l’intera prestazione dev’essere
gratuita. Lo stesso indirizzo è stato più volte confermato (Cass.
nn. 13714/2023, 25660/2023, 4752/2024, 26943/2024), sancendo che la
“prevalenza” delle cure non va intesa in senso quantitativo, ma
in termini di necessità
terapeutica e integrazione funzionale
con l’assistenza.
Numerose
decisioni di merito (Foggia, Monza, Roma, Firenze) hanno applicato
tale principio, imponendo al SSN e ai Comuni la copertura totale o
parziale delle rette e riconoscendo ai familiari il diritto alla
restituzione delle
somme indebitamente
versate.
Chi
ha sostenuto tali spese può dunque agire in giudizio per ottenere il
rimborso,
configurabile come ripetizione
dell’indebito oggettivo
ai sensi dell’art. 2033 c.c., entro il termine di dieci
anni.
La
direzione è ormai chiara: per i pazienti affetti da Alzheimer o
gravi forme di demenza, l’assistenza in RSA costituisce una
prestazione
sanitaria integrata,
e come tale deve essere garantita – integralmente e senza oneri per
le famiglie – dal sistema sanitario pubblico.