SE IL LAVORATORE SI COMPORTA IN MODO IMPREVEDIBILE L'IMPRENDITORE E' RESPONSABILE DELL' INFORTUNIO?

Scritto da: Giovanni Merli - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

 

SE IL LAVORATORE SI COMPORTA IN MODO IMPREVEDIBILE L'IMPRENDITORE E' RESPONSABILE DELL' INFORTUNIO?


Un problema che si presenta, con una certa frequenza, in materia di infortuni sul lavoro è quello di un comportamento, tenuto dal lavoratore, che possa ritenersi concausa dell'evento o, addirittura, causa efficiente dello stesso.

In sostanza, è vero che c'è stato l'infortunio, ma il lavoratore stesso non solo non ha fatto nulla per evitarlo, ma, magari, si è posto nella situazione di rischio, si per sua colpa o negligenza, sia per inosservanza delle disposizioni aziendali.

E' il problema del concorso del comportamento abnorme tenuto dal dipendente nel verificarsi del fatto.


Si tratta di una argomento di particolare interesse, anche perchè, a quel che sembra, la giurisprudenza si sta evolvendo in un senso più favorevole all'imprenditore.

Si deve precisare, preliminarmente, che, in caso d’infortunio – secondo l'opinione fino a poco fa assolutamente dominante - la responsabilità del datore di lavoro fosse talmente ampia, da non poter essere esclusa, neppure, da condotte negligenti e imperite del lavoratore, anche se hanno contribuito al verificarsi dell'evento.

In sostanza, per le più varie ragioni, il lavoratore poteva aver sbagliato nell'effettuare i suoi compiti, essersi distratto o aver violato le prescrizioni, ma tutto ciò non era ritenuto sufficiente ad esimere la responsabilità dell'imprenditore, specie se si trattava di un evento che ricompreso nel rischio tipico della lavorazione svolta.

La ragione di questa opinione risiedeva nel fatto che, data la posizione di garanzia dell'imprenditore, essa si estende alla previsione, anche, dell'incuria altrui.

Tale posizione di garanzia è tanto ampia da non poter essere esclusa, per il caso di comportamento negligente – ad esempio – da parte del lavoratore in quanto la posizione di garante si estende a prevedere – e, sperabilmente, ovviare – anche alla negligenza altrui, con un controllo – proprio o per interposta persona – particolarmente penetrante.

Per certi versi, si tratta di quella responsabilità che deriva dalla disciplina dell'art. 40, II comma, c.p. secondo cui “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. “

Il dato normativo vigente (d.lgs. 81/2008) impone al datore di lavoro di esigere il rispetto – anche con la coazione di provvedimenti disciplinari - delle regole di cautela da parte del lavoratore (art. 18, co. I, lett. f), stabilendo un vero e proprio dovere di vigilanza del datore di lavoro sull’adempimento degli obblighi prevenzionali previsti a carico dei lavoratori stessi (art. 18 , co. III bis).

Occorre, cioè, che il datore di lavoro, per adempiere alla sua posizione di garanzia, preveda rimedio, anche, all'errore o alla distrazione del dipendente, facendo il possibile per evitare le conseguenze di essa, di fatto proteggendo il lavoratore dalla sua stessa, possibile, imprudenza.

La giurisprudenza, dunque, in prima istanza, si è orientata nel senso che il datore di lavoro sia, di fatto, sempre, responsabile per l'infortunio, anche il caso di colpa del lavoratore, in quanto con il proprio continuo controllo, ovvero con ulteriori misure prevenzionali. avrebbe dovuto o potuto evitare l'infortunio.

Con questa prima ipotesi interpretativa, dunque, il datore di lavoro poteva essere esente da responsabilità solo per il caso di un comportamento tanto abnorme del lavoratore, cioè di un comportamento così imprevedibile, così al di fuori del contesto lavorativo, da esserne, di fatto, estraneo: si tratta, cioè, di ipotesi tanto marginali da potersi definire casi di scuola.

Con più recenti sentenze, però, la Cassazione, accanto al comportamento abnorme tenuto dal lavoratore, introduce il concetto di comportamento esorbitante.

Per esso si deve intendere quel comportamento che, pur ricompreso nel mansionario del lavoratore e pur, altrettanto, strettamente connesso all’attività lavorativa, sia assolutamente imprevedibile.

Si sposta, quindi, l'attenzione dal dato oggettivo – attività astrattamente compresa nel mansionario – a quello soggettivo, cioè il modo con cui il lavoratore esegue la lavorazione.

In pratica, pur in presenza di attività strettamente connessa con lo svolgimento dell’attività lavorativa, per attribuire la responsabilità dell'infortunio al datore di lavoro, si deve prendere in esame la prevedibilità o imprevedibilità della condotta del lavoratore, essendo ovvio che, per il caso di condotta imprevedibile, si potrà escludere la responsabilità del datore di lavoro.

In tal senso, quest'ultimo – e, anche, il responsabile per la sicurezza e la prevenzione – dovranno essere assolti una volta che, prese tutte le cautele possibili, l'infortunio (nella specie, una caduta dall’alto) era addebitabile ad una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore (Cass. 3.3.2016 n.° 8883).

Si noti che si parla di cautele, dunque, non solo le misure ordinariamente previste dalla normativa – ad esempio, tavole ferma piede, reti protettive, ecc. - , ma quel quid pluris che consenta di far ritenere soddisfatta, anche oltre il dettato normativo, la posizione di garanzia avendo offerto e messo in opera, anche a livello organizzativo, tutte le possibili precauzioni.

Con buona sostanza, si sostituisce il criterio meramente estrinseco delle mansioni svolte dal lavoratore, con l'altro, della prevedibilità dell'evento e, correlativamente, del comportamento tenuto dal prestatore di lavoro.

Si tratta di una lettura che, appare essere, prima di tutto, più costituzionalmente orientata, in quanto riduce lo spazio di una possibile (per quanto negata in materia da dottrina e giurisprudenza) responsabilità oggettiva, proprio perchè se il prevedere le possibilità di infortunio - per evitarlo - è parte imprescindibile dell'attività imprenditoriale, riconosce, ove difetti l'imprevedibilità, la responsabilità del datore di lavoro non per la sua mera posizione apicale, ma per non aver saputo – quantomeno in violazione dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura – prevedere e, dunque, prevenire un evento che imprevedibile non era.

Si tratta di un modo di vedere sorretto anche da altre pronunce (segnatamente Cass. 10.6.2016 n.° 24139) che sembra sottolineare la ripartizione “collaborativa” delle obbligazioni relative alla sicurezza, anche a carico degli stessi lavoratori e ciò in linea con la ratio legis del D.Lgs. n.° 81/2008 di diffondere - senz'altro tra i datori di lavoro, ma anche tra il lavoratori - la “cultura” della sicurezza sui luoghi di lavoro.




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Giovanni Merli

Avvocato penalista in firenze




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