Pubblicazione legale:
RAPPORTI TRA LA RESPONSABILITA' DEL DATORE DI LAVORO E QUELLA DEL PREPOSTO
In materia di infortuni sul lavoro deve porsi la massima attenzione, per individuare le responsabilità, a chi, nel caso concreto, assume la c.d. posizione di garanzia.
Il problema è annoso e di notevole delicatezza, stante il divieto di responsabilità oggettiva in campo penale, tanto che vi è stato un notevole dibattito sulla lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia.
E' troppo facile, infatti, ritenere responsabile colui che risulti, formalmente, datore di lavoro con una meccanica trasposizione della norma civilistica in campo penale.
Si tratta, semmai, di individuare chi, al momento dell'infortunio, aveva il dovere di attivarsi affinché non si verificasse con un criterio di concretezza.
Da un certo punto di vista, anche in forza dell'art. 2087 c.c., le responsabilità sembrano, generalmente e genericamente, ricadere sul datore di lavoro, ma non è sempre così.
Anche volendo prescindere dalla facoltà del datore di delegare – sia pure con le forme previste dalla norma e, dunque, con atto scritto di data certa, debitamente posto a conoscenza – ad altri le funzioni di prevenzione e vigilanza antinfortunistica, appare evidente la possibilità che la posizione di garanzia del datore di lavoro possa essere assunta da altre figure.
A tale proposito appare interessante la sentenza 25.6.2015 n.° 26994, IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro non può essere, apoditticamente, affermata per il sol fatto che si è verificato un infortunio sul lavoro.
Nel caso sottoposto all'esame della Corte, si era verificato un infortunio per omesso utilizzo della cintura di sicurezza da parte del lavoratore e di esso era stato ritenuto responsabile il datore di lavoro.
La Corte, affermando il principio che nella valutazione delle responsabilità per l'infortunio occorre rifuggire da automatismi, dovendosi, invece, valutare ed individuare quale particolare regola cautelare violata sia stato l'antefatto causale dell'evento.
Per tale motivo, se, come è avvenuto, l'infortunio si è verificato per l'omessa adeguata vigilanza circa l'utilizzo della cintura di sicurezza da parte del dipendente, tale violazione "rimanda alla sfera di rischio gestita dal preposto, i cui compiti sono quelli di sovrintendere alla attività lavorativa e garantire l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
Ne segue che l'omessa vigilanza deve essere attribuita al preposto, direttamente posto a contatto con le lavorazioni da eseguire e, dunque, cui fa carico l'obbligo di vigilare sull'utilizzo degli strumenti di sicurezza da parte dei lavoratori.
Ora se è vero che il datore di lavoro ha il dovere di vigilare sull'operato del preposto, tale obbligo non può estendersi al continuativo – e minuto - controllo dell'operato di quest'ultimo, vanificandosi, diversamente, la stessa funzione professionale e di inserimento nell'organigramma aziendale.
Appare così evidente che la responsabilità del datore di lavoro, per il caso di nomina di preposto alle lavorazioni, potrà ritenersi esistente solo casi residuali, come, ad esempio, di una culpa in eligendo, per aver scelto quale preposto un soggetto privo delle competenze tecniche e professionali per lo svolgimento della mansione.
Apparentemente, ma solo apparentemente, si potrebbe porre il problema delle disposizioni impartite al preposto dal datore di lavoro in materia di prevenzione.
Infatti, se le disposizioni impartite sono in contrasto con la normativa, o, anche, solo con la “buona tecnica”, il preposto non sarà liberato dalla responsabilità in quanto la norma non può essere derogata dagli “ordini” dell'imprenditore.
In tal caso, infatti, il preposto dovrebbe dissociarsi e non dare esecuzioni a disposizioni contrarie alla norma, diversamente, lungi dall'essere liberato dalla responsabilità, verrebbe a concorrere nel reato.