Pubblicazione legale:
La disciplina della comunione legale
dei beni tra coniugi, introdotta dall’art.
177 c.c., è volta alla tutela
dell’unità familiare, perseguita attraverso il regime dell’attribuzione comune
degli acquisti compiuti in costanza di matrimonio.
A differenza della comunione ordinaria
è “senza
quote” in quanto i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto
avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la
partecipazione di estranei (Cass. Civ. Sent. n. 14093/2010).
Quanto all’oggetto della comunione la giurisprudenza ha precisato che, ai fini
dell’acquisto, non rileva il carattere del bene e “la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto” (G.
Cian e A. Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, 2015).
Dallo svolgimento delle sia pur brevi
premesse a carattere generale sin qui esposte, può desumersi la potenziale
complessità dei rapporti fra il regime della comunione legale e l’acquisizione,
a vario titolo, di beni o di diritti al patrimonio del coniuge.
Quanto precede assume maggiore rilievo
se raffrontato alla circostanza per cui,
non qualunque acquisto
pervenuto in costanza di matrimonio rientra ex
lege nella comunione, come si evidenzia dalla disamina dell’art. 179 c.c., norma tramite la quale
cui il legislatore ha posto una serie di limiti.
Ci si è, dunque, chiesti se a seguito
della riforma del diritto di famiglia, mediante l’introduzione delle legge n.
151 del 1975, la cosiddetta “presunzione muciana”, posta dall’art. 70 l. fall., con riguardo ai beni
acquistati a titolo oneroso dal coniuge del fallito nel quinquennio anteriore
alla dichiarazione di fallimento, sia
o meno operante con riferimento alla comunione legale.
In particolare il quesito fa
riferimento alla nota problematica posta dal fatto che la suddetta presunzione
assoggetta il coniuge del fallito all’onere spesso faticoso, se non addirittura
impossibile, di provare la provenienza del denaro.
La Cassazione a Sezioni Unite, (sentenza
n. 5291/1997), ha risposto negativamente,
peraltro, con estensione al regime della separazione dei beni, specificando
che, nel caso della comunione, l’ostacolo all’operatività della presunzione suddetta
è posto, non tanto dall’irrilevanza dei profili di chi, fra i coniugi, compia
l’acquisto, o dalla provenienza del denaro, quanto, piuttosto, dalla rete di
princìpi che, a seguito dell’introduzione della riforma, qualifica la
disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi “facendone l’espressione di precisi valori costituzionali, quali quelli
della parità e della pari dignità dei coniugi”.
Per quanto poi riguarda la separazione
dei beni, l’inoperatività dell’art. 70 l. fall. è fatta discendere dalla
Suprema Corte dalla circostanza per cui mal si comprenderebbe il rimedio della separazione giudiziale dei beni,
previsto dall’art. 193 c.c., per il
caso di disordini degli affari del coniuge in comunione, se il regime di
separazione rappresentasse campo libero per l’operare della “presunzione muciana” (Cass. Civ. Sent.
n. 1501/2000).
Si è, inoltre, osservato che la “presunzione muciana” è stata implicitamente abrogata proprio dalla riforma del diritto di famiglia,
ispirata al canone sovraordinato della parità della posizione tra i coniugi
(Cass. Civ. Sent. n. 2272/1996).
E’ pacificamente ritenuto in
giurisprudenza che la norma di cui all’art. 70 l. fall., sulla presunzione di
acquisto dei beni da parte del coniuge a titolo oneroso, con il denaro del
fallito, contrasti con il principio dell’effettività
degli acquisti personali, corollario della pari dignità, la quale esclude
la sudditanza economica anche del coniuge dell’imprenditore.
In altri termini l’art. 177 c.c.
poggia sulla presunzione che il
compendio dei beni comuni sia risultante da un apporto eguale da parte di
entrambi i coniugi che prevale sulla presunzione,
iuris tantum, di cui alla legge
fallimentare.
Pertanto, ove al prezzo d’acquisto
provveda soltanto il coniuge imprenditore, realizzando propri beni personali,
ovvero con denaro distratto dall’azienda personale da lui soltanto gestita, ex art. 179 c.c., 1° comma, lett. c), d) ed
f) 2° comma, e di ciò non sia fatta menzione nel relativo atto, con la
consequenziale attribuzione dei beni alla comunione, le posizioni dei creditori
restano tutelate dalla possibilità del curatore di denunciare l’inefficacia di
detta attribuzione secondo le previsioni di cui agli artt. 64 e 66 della citata legge fallimentare.
Bibliografia
G. Cian e A. Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, 2015