Comunione legale e "presunzione muciana"

Scritto da: Francesco Guido - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

La disciplina della comunione legale dei beni tra coniugi, introdotta dall’art. 177 c.c., è volta alla tutela dell’unità familiare, perseguita attraverso il regime dell’attribuzione comune degli acquisti compiuti in costanza di matrimonio.

A differenza della comunione ordinaria è “senza quote” in quanto i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei (Cass. Civ. Sent. n. 14093/2010).

Quanto all’oggetto della comunione la giurisprudenza ha precisato che, ai fini dell’acquisto, non rileva il carattere del bene e “la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto” (G. Cian e A. Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, 2015).

Dallo svolgimento delle sia pur brevi premesse a carattere generale sin qui esposte, può desumersi la potenziale complessità dei rapporti fra il regime della comunione legale e l’acquisizione, a vario titolo, di beni o di diritti al patrimonio del coniuge.

Quanto precede assume maggiore rilievo se raffrontato alla circostanza per cui,  non qualunque acquisto pervenuto in costanza di matrimonio rientra ex lege nella comunione, come si evidenzia dalla disamina dell’art. 179 c.c., norma tramite la quale cui il legislatore ha posto una serie di limiti.

Ci si è, dunque, chiesti se a seguito della riforma del diritto di famiglia, mediante l’introduzione delle legge n. 151 del 1975, la cosiddetta “presunzione muciana”, posta dall’art. 70 l. fall., con riguardo ai beni acquistati a titolo oneroso dal coniuge del fallito nel quinquennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, sia o meno operante con riferimento alla comunione legale.

In particolare il quesito fa riferimento alla nota problematica posta dal fatto che la suddetta presunzione assoggetta il coniuge del fallito all’onere spesso faticoso, se non addirittura impossibile, di provare la provenienza del denaro.

La Cassazione a Sezioni Unite, (sentenza n. 5291/1997), ha risposto negativamente, peraltro, con estensione al regime della separazione dei beni, specificando che, nel caso della comunione, l’ostacolo all’operatività della presunzione suddetta è posto, non tanto dall’irrilevanza dei profili di chi, fra i coniugi, compia l’acquisto, o dalla provenienza del denaro, quanto, piuttosto, dalla rete di princìpi che, a seguito dell’introduzione della riforma, qualifica la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi “facendone l’espressione di precisi valori costituzionali, quali quelli della parità e della pari dignità dei coniugi”.  

Per quanto poi riguarda la separazione dei beni, l’inoperatività dell’art. 70 l. fall. è fatta discendere dalla Suprema Corte dalla circostanza per cui mal si comprenderebbe il rimedio della separazione giudiziale dei beni, previsto dall’art. 193 c.c., per il caso di disordini degli affari del coniuge in comunione, se il regime di separazione rappresentasse campo libero per l’operare della “presunzione muciana” (Cass. Civ. Sent. n. 1501/2000).

Si è, inoltre, osservato che la “presunzione muciana” è stata implicitamente abrogata proprio dalla riforma del diritto di famiglia, ispirata al canone sovraordinato della parità della posizione tra i coniugi (Cass. Civ. Sent. n. 2272/1996).

E’ pacificamente ritenuto in giurisprudenza che la norma di cui all’art. 70 l. fall., sulla presunzione di acquisto dei beni da parte del coniuge a titolo oneroso, con il denaro del fallito, contrasti con il principio dell’effettività degli acquisti personali, corollario della pari dignità, la quale esclude la sudditanza economica anche del coniuge dell’imprenditore.

In altri termini l’art. 177 c.c. poggia sulla presunzione che il compendio dei beni comuni sia risultante da un apporto eguale da parte di entrambi i coniugi che prevale sulla presunzione, iuris tantum, di cui alla legge fallimentare.

Pertanto, ove al prezzo d’acquisto provveda soltanto il coniuge imprenditore, realizzando propri beni personali, ovvero con denaro distratto dall’azienda personale da lui soltanto gestita, ex art. 179 c.c., 1° comma, lett. c), d) ed f) 2° comma, e di ciò non sia fatta menzione nel relativo atto, con la consequenziale attribuzione dei beni alla comunione, le posizioni dei creditori restano tutelate dalla possibilità del curatore di denunciare l’inefficacia di detta attribuzione secondo le previsioni di cui agli artt. 64 e 66 della citata legge fallimentare.

 

 

Bibliografia

G. Cian e A. Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, 2015



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Avvocato Francesco Guido a Cosenza
Francesco Guido

Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni