Licenziamento per soppressione del posto di lavoro: le lettere di licenziamento mal scritte costano caro alle aziende

Scritto da: Federica Parente - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

La fonte normativa  

Nell’ambito del diritto costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.) di poter organizzare liberamente la propria attività imprenditoriale, il datore di lavoro può procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. per GMO), ossia al licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento (art. 3 L. 15.7.1966, n. 604).

Rientra nell’ambito dei licenziamenti per GMO il recesso datoriale esercitato per soppressione del posto di lavoro.

Presupposti di legittimità del licenziamento per soppressione del posto di lavoro

Il datore di lavoro che intenda procedere a un licenziamento per soppressione del posto di lavoro del dipendente deve essere consapevole che, in caso di impugnazione, sarà tenuto a dimostrare in giudizio:

  •         la ricorrenza, al momento del licenziamento, di reali ragioni di carattere economico ovvero di carattere tecnico-produttivo;
  •         la riorganizzazione aziendale;
  •       la soppressione del posto di lavoro;
  •       il nesso causale tra le ragioni addotte e la posizione soppressa;
  •         l’assolvimento del c.d. onere di repêchage.

Le ragioni di carattere economico sono quelle finalizzate a garantire una riduzione dei costi o un incremento di profitti, mentre le ragioni di carattere tecnico - produttivo sono quelle finalizzate a garantire un aumento dell'efficienza del lavoro e della produzione (T. Milano n. 73/2018).

A titolo esemplificativo, tali ragioni possono identificarsi nell’esigenza di:

  •           intervenire sullo stato di crisi economica in cui versa l’azienda;
  •           perseguire una migliore efficienza gestionale;
  •         perseguire una gestione più economica dell’azienda ovvero un incremento della redditività mediante riduzione del costo del lavoro e/o di altri fattori produttivi;
  •          procedere a un ridimensionamento dell’attività produttiva, ad esempio a seguito della perdita dell’appalto o di commesse di lavoro.

Le ragioni di carattere economico o di carattere tecnico-produttivo devono rappresentare la causa della modifica dell’assetto organizzativo aziendale, ossia della riorganizzazione (Cass. n. 10699/2017)

La riorganizzazione può consistere nella (Cass. n. 15082/2016):

  •           decisione di impiegare nuove tecnologie che rendono determinate mansioni obsolete o comunque non più necessarie;
  •           esternalizzazione di determinate mansioni che, pur risultando ancora necessarie, vengono affidate a imprese esterne;
  •     soppressione del posto di lavoro o di un intero reparto o nella riduzione del numero dei suoi addetti rilevatosi     sovrabbondamene rispetto all’impegno richiesto;
  •           diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in forza, nel senso che invece di essere affidate ad un solo dipendente     le stesse vengono suddivise tra gli altri dipendenti, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate.

La riorganizzazione aziendale deve essere all’origine del licenziamento e non costituirne un mero effetto di risulta (Cass. n. 24502/2011).

È la riorganizzazione che, pertanto, comporta e si concretizza tramite la soppressione del posto di lavoro e non il contrario.

La soppressione del posto di lavoro deve essere effettiva: non vi è soppressione del posto di lavoro nel caso in cui avvenga una mera sostituzione del dipendente licenziato con altro lavoratore assunto a minor costo, perché retribuito meno per lo svolgimento di identiche mansioni (Cass. SS.UU. n. 3353/1994; Cass. n. 3899/2001; Cass. n. 13516/2016)

In relazione al presupposto del nesso causale tra le ragioni del licenziamento e la posizione lavorativa soppressa vi è da ricordare che, ove la riorganizzazione aziendale si identifichi nell’esigenza di ridurre personale omogeneo e fungibile, nell'individuare il lavoratore da licenziare, il datore di lavoro deve agire in conformità ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. n. 11124/2004). Conseguentemente, il datore di lavoro deve prendere in considerazione, in via analogica rispetto a quanto previsto in materia di licenziamento collettivo, i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità aziendale, salva la possibilità di prendere in considerazione criteri diversi, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati (Cass. n. 25192/2016).

Infine, quanto all’onere di repêchage, trattasi di un elemento inespresso a livello normativo che, tuttavia, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta di recesso datoriale (Cass. n. 24882/2017).

L’onere di repêchage impone al datore di lavoro di valutare, prima del licenziamento, la possibilità di adibire il lavoratore “colpito” dagli effetti della riorganizzazione aziendale a diverse mansioni e, pertanto, di “offrire la mansione alternativa anche inferiore al lavoratore, prospettandone il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore” (Cass. 18904/2024).

Il nodo centrale: cosa spesso “non funziona” nelle lettere di licenziamento per soppressione del posto di lavoro

Molti licenziamenti per soppressione del posto di lavoro risultano giudizialmente vulnerabili a causa di una gestione superficiale della fase preparatoria. Spesso, infatti, le lettere di recesso finiscono per riportare motivazioni generiche o mutuate da casi giurisprudenziali del tutto estranei alla situazione concreta dell’azienda.

Accade così che venga invocata, ad esempio, una “crisi economica non contingente” a fronte di bilanci in attivo, quando sarebbe stato sufficiente – se effettivamente ricorrente – richiamare l’esigenza di migliorare l’efficienza gestionale o di una razionalizzazione dei costi.

Motivi non dimostrabili in giudizio determinano l’illegittimità del licenziamento: “ai fini della legittimità del licenziamento […] l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare […]  ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore" (Cass. n. 25201/2016).

Ugualmente, costruire ex post una riorganizzazione “di comodo”, non adeguatamente pianificata e documentata, indebolisce irrimediabilmente la difesa datoriale.

È infine fondamentale adempiere in modo effettivo all’onere di repêchage, tramite un esame approfondito dell’organigramma e delle posizioni disponibili, anche inferiori, formalizzando – se esistente – una reale proposta alternativa al lavoratore.

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Avvocato Federica Parente a Milano
Federica Parente

Avvocato esperto in materia di diritto del lavoro e sindacale