Pubblicazione legale:
Benché molte volte tutte le condotte poste in essere a danno del lavoratore vengono ricondotte impropriamente nel concetto di mobbing, le stesse a volte integrano, in realtà altra e diversa fattispecie.
Si tratta di angherie, dispetti, vessazioni, emarginazioni, umiliazioni, maldicenze e ostracismi che, se tenuti dai colleghi, sul luogo di lavoro, integrano quello che, gli esperti del settore, chiamano “straining”.
È stata definito dalla scienza medica come “quella situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui il lavoratore subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante”.
A differenza del mobbing, ossia quella vessazione attuata da un subordinato aziendale, e del bossing, ossia quando la vessazione è messa in atto da un vertice aziendale, che inducono la vittima a licenziarsi pur di alleviare le pene che subisce giornalmente, nello straining, invece, è sufficiente una singola “azione stressante” capace però di creare enormi impatti emotivi e psicosomatici sull’individuo.
La Suprema Corte, sezione lavoro, nell’Ordinanza 22 novembre 2017 – 19 febbraio 2018, n. 3977., così definisce lo STRAINING:
“una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie..