Pubblicazione legale:
Prima di passare in rassegna la
questione giuridica oggetto di sindacato di legittimità è opportuno descrivere
il caso di specie:
Tizio,
amministrate di una società a responsabilità limitata, fino al 10.09.06 viene
tratto a giudizio, in concorso col rappresentate legale pro tempore, per
rispondere del reato di fraudolenta dichiarazione mediante uso di fatture per
prestazioni inesistenti di cui all’art. 2 D. Lvo 74/2000 (cd false
fatturazioni) indicate nella dichiarazione dei redditi presentata all’Agenzia
delle Entrate il 26.09.07, quando era in carica, da circa un anno, un altro
legale rappresentate.
La
domanda che si pone all’attenzione è dunque la seguente:
può
il rappresentante legale, non più in carica al momento del deposito della
dichiarazione dei redditi (avvenuta l’anno successivo alla perdita della
qualifica), essere ritenuto responsabile di aver utilizzato false fatturazione
in concorso col rappresentate legale in carica al momento del concreto utilizzo
di queste fatture mediante il loro inserimento nella dichiarazione presentata
all’Agenzia delle Entrate?
Sembrerà
strano ma a tale domanda sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno dato
risposta affermativa, nel senso di ritenere responsabile l’ex amministratore anche
se non più in carica quando, l’anno successivo, il nuovo amministratore ha
presentato la dichiarazione dei redditi contenente gli elementi passivi fittizi
documentati dalle fatture ritenute false.
Nella
specie la Corte Territoriale si è espressa in questi termini: “…seppure Tizio
non rivestiva più la qualità a lui contestata al momento della consumazione del
reato, sicuramente la rivestiva tuttavia nei mesi di registrazione delle
fatture fittizie, il che individua la sua responsabilità a titolo di concorso
nel reato…”.
Preliminare
alla comprensione della questione giuridica, è l’individuazione del momento
consumativo del reato previsto dall’art. 2 D.Lvo 74/2000.
Sul
punto la giurisprudenza di merito (compreso la ns Corte Territoriale) nonché
quella di legittimità è ormai conforme nel ritenere - in sintonia con la
volontà del legislatore di spostare il momento di rilevanza penale della
condotta e quindi abbandonare la dimensione prodromica dell’illecito - che il
momento consumativo del reato coincida con la presentazione della dichiarazione
annuale dei redditi nella quale sono stati indicati gli elementi passivi
fittizi documentati dalle fatture. Il reato è dunque di natura istantanea e si
perfeziona nel momento in cui viene presentata la dichiarazione annuale dei
redditi. La ratio della norma e l’interpretazione operata dalla giurisprudenza è
di facile comprensione se si considera che nella dichiarazione dei redditi sono
contenuti sia gli elementi positivi o attivi di bilancio (redditi) sia quelli
negativi o passivi (costi); dalla compensazione tra questi importi viene fuori
la c.d. base imponibile, ovvero l’importo sul quale si calcola l’aliquota di
pressione fiscale corrisponde alla fascia di reddito prevista dalle imposte sui
redditi; ne consegue che l’aumento dei costi di esercizio, generato attraverso
l’indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi, mediante la
predisposizione di fatture false (che documentano costi mai sostenuti), comporterà
l’abbassamento della base imponibile e quindi del reddito dichiarato ai fini
fiscali.
Per
tanto il momento consumativo della condotta non può che essere quello in cui si
presenta la dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle Entrate per la semplice
ragione che è proprio in quel preciso momento che il contribuente dichiara
(fraudolentemente) un reddito diverso da quello realmente prodotto mediante
l’uso di fatture false che documentano costi mai sostenuti. Coerente con tale
interpretazione è l’intero impianto normativo contenuto nel D.Lvo 74/2000 e lo
stesso testo di cui all’art. 2 che difatti s’intitola: “dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti”, quasi a voler evidenziare, già nel titolo, come la condotta
incriminata non sia quella di aver formato, o concorso a formare, fatture false
(per operazioni inesistenti) ma quella di aver dichiarato un reddito non
corrispondente al vero proprio attraverso l’utilizzo di fatture che documentano
costi non sostenuti nella realtà.
L’elemento
costituente risiede dunque nella dichiarazione fraudolenta che, sebbene
caratterizzata da una condotta progressiva (dapprima la registrazione in
contabilità della fattura falsa e poi l’indicazione in dichiarazione del costo fittizio)
si completa nella sua penale rilevanza nel momento in cui la dichiarazione
viene portata a conoscenza dell’ente che la deve conoscere.
Cosa
succede dunque a quelle condotte propedeutiche alla fraudolenta dichiarazione,
ovvero quelle consistenti ad es. nella registrazione delle fatture false in
contabilità che, come è ovvio, avviene prima della presentazione della
dichiarazione dei redditi?
Sul
punto si è già espressa la Cassazione a Sezioni Unite, già nel 2000 con la
sentenza n. 25.10.2000 n. 27, con la quale ha stabilito che “di per sé la
propedeutica registrazione in contabilità o la detenzione ai fini di prova di
fatture per operazioni inesistenti, anche se teleologicamente dirette in modo
non equivoco alla successiva dichiarazione fraudolenta, non sono punibili
neanche quando il loro successivo mancato inserimento nella dichiarazione
derivi, non già da uno spontaneo ripensamento del contribuente, ma
dall’intervento, nelle more, di un accertamento compiuto nei suoi confronti”.
Secondo
tale orientamento dunque gli atti prodromici alla fraudolenta dichiarazione,
compreso la registrazione delle fatture in contabilità, non possono configurare
il reato de quo.
Tanto
peraltro è confermato dal complessivo impianto normativo che all’art. 6 prevede
espressamente che i delitti previsti dagli articoli 2, 3, e 4 non siano
punibili a titolo di tentativo. Da tanto se ne ricava come dunque gli atti
preparatori, anche laddove abbiano i requisiti richiesti dall’art. 56 c.p., non
siano rilevanti agli effetti penali almeno per quanto concerne i reati previsti
dagli articoli 2, 3 e 4 del D.Lvo 73/2000 (tra i quali dunque la dichiarazione
fraudolente mediante uso di fatture o altri documenti per prestazioni
inesistenti). Anche tale previsione conferma quanto sostenuto dalla difesa di
Tizio, sia in primo che secondo grado di giudizio, ovvero che il momento
dichiarativo divenga il discrimine tra il lecito e l’illecito in quanto prima
della dichiarazione non vi è alcun fatto penalmente rilevante nemmeno nella
forma del tentativo.
Se
dunque il discrimine tra lecito ed illecito è la dichiarazione fraudolenta, che
rappresenta sia il momento consumativo che costitutivo del reato, a parere
dello scrivente, non potrà essere mosso alcun addebito all’imputato Tizio in
quanto al momento della presentazione della dichiarazione non rivestiva più, da
oltre un anno, la qualità di legale rappresentante della società.