Reintegra del dipendente licenziato per scarso rendimento

Scritto da: Annalisa Borzi - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Secondo una recentissima pronuncia della Corte Costituzionale (Cass. Ordinanza 1584/2023) “lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un'indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite.”

I fatti.

Il dipendente di una società viene licenziato per scarso rendimento e insufficienza nello svolgimento delle proprie mansioni.

Il lavoratore ricorre avverso tale licenziamento e il Tribunale accoglie le sue richieste pronunciandosi a favore della reintegra e del pagamento di una indennità, sostenendo che l’adozione di un precedente provvedimento sanzionatorio conservativo e di un successivo provvedimento sanzionatorio di licenziamento sulla base della medesima contestazione configuri una violazione del principio del ne bis in idem.

Il licenziamento infatti traeva origine da precedenti disciplinari, già sanzionati con misure non espulsive, per il rendimento inferiore alla media del dipendente imputabile a negligenza, incapacità e imperizia.

La società datrice di lavoro ricorre in appello avverso la sentenza di primo grado ma la Corte d’appello adita conferma la decisione di primo grado.

La società datrice di lavoro ricorre dunque in Cassazione, la quale però nuovamente riconosce le ragioni del lavoratore.

La Corte, ribadisce infatti quanto già statuito in diverse precedenti pronunce e dunque che l’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento, si connota, sul piano oggettivo, per un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile e, sul piano soggettivo, per l’imputabilità a colpa del lavoratore. Per tale motivo, lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un’indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite.

E dunque, deve applicarsi anche nella fattispecie di scarso rendimento di cui alla disciplina speciale del R.D. n. 148 del 1931, il divieto, più volte affermato dalla Corte con riguardo al procedimento disciplinare, di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica.

Ritiene ancora la Corte che la società datrice di lavoro aveva già consumato il proprio potere disciplinare ed allora non residuava più alla datrice spazio alcuno per operare una complessiva valutazione del pur cospicuo curriculum disciplinare del lavoratore.

Del resto già in pronunce precedenti la Corte aveva osservato e ritenuto che “Una volta che, di fronte ad una condotta disciplinarmente rilevante, il datore di lavoro abbia esercitato il proprio potere punitivo, non solo si verifica la consumazione del potere in capo al titolare, sicché lo stesso non può più esercitarlo per il medesimo fatto, ma allo stesso tempo, il fatto costituente addebito disciplinare diviene non più sanzionabile, quindi perde il carattere di illiceità per l’esaurirsi del potere sanzionatorio.”

Il fatto non più sanzionabile, quindi non più suscettibile di provocare l’esercizio legittimo del potere disciplinare, equivale a fatto non più antigiuridico, quindi privo di antigiuridicità.

Dunque in caso di pregressa consunzione del potere disciplinare, il fatto o i fatti in precedenza oggetto di contestazione e di sanzione, quand’anche antigiuridici all’origine, non lo sono più se nuovamente contestati, appunto perché già “puniti”.

Come tali, sono solo fatti storici privi di disvalore apprezzabile in un nuovo contesto disciplinare, se non dal differente punto di vista della c.d. recidiva.

 E quindi concludendo, non si può licenziare il dipendente per condotte già punite.



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Annalisa Borzi

Avvocato operante nel settore del diritto civile




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